Danno da ritardo
Lungaggini della P.A., il cittadino che prova la colpa ottiene il risarcimento
Il ritardo nell'emanazione di un provvedimento non genera automaticamente il diritto al ristoro dei danni. La sentenza del Consiglio di Stato del 7.4.2015.
Il risarcimento del “danno da ritardo” nell’emissione di un provvedimento amministrativo è necessariamente collegato alla colpa dell’Ente pubblico, che deve essere rigorosamente provata, oltre che allegata.
Se la parte privata, infatti, insiste nel collegare la colpa della P.A. alla sola violazione del termine a provvedere, senza allegare profili ulteriori, non v’è spazio per accogliere la sua domanda risarcitoria. E’ quanto ha sentenziato il Consiglio di Stato nella decisione del 7 aprile 2015 n. 1770, con la quale è stata definita la controversia tra un cittadino ed un Comune pugliese, colpevole, secondo il primo, di aver eccessivamente ritardato il rilascio di un titolo edilizio.
La fattispecie che ha dato luogo alla decisione va, però, spiegata per poter capire le ragioni che hanno condotto all’esonero di responsabilità in capo all' Ente locale.
Un cittadino aveva richiesto il permesso a costruire un corpo scala del proprio appartamento, che era crollato durante i lavori di ristrutturazione dello stabile principale. Il Comune aveva, dapprima, opposto un diniego e poi aveva rilasciato il titolo.
Contestato davanti al TAR il ritardo nel rilascio, il privato aveva ottenuto il ristoro del danno subìto per effetto del ritardo lamentato.
L’Amministrazione ha appellato la statuizione di primo grado sostenendo che il primo progetto presentato per la ricostruzione del corpo scala era in contrasto con le norme tecniche di attuazione vigenti (che sarebbero state rispettate solo con una seconda progettazione) ed ha poi dedotto un’errata progettazione iniziale dello stesso edificio principale, imputabile esclusivamente al professionista al quale il cittadino si era rivolto.
Quindi, a fronte di una mera doglianza avanzata dal proprietario dell’immobile circa il ritardo subìto, il Comune dal canto suo ha evidenziato circostanze impeditive, o quanto meno scusanti, integrate dalla falsa rappresentazione progettuale, cui è seguito un crollo del vano scale (ossia, proprio di quell’elemento falsamente rappresentato nel primo progetto), definitivamente accertata in sede penale. Circostanze che, al di là del difetto logico motivazionale che ha caratterizzato il primo provvedimento di diniego, sono valse per il Supremo Consesso ad escludere un comportamento doloso o colposo dell’Amministrazione.
Rodolfo Murra
(7 aprile 2015)
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