Giustizia Amministrativa
T.A.R. Basilicata: il permesso di ricerca di idrocarburi Palazzo San Gervasio rispetta l'ambiente ed il territorio
I giudici amministrativi lucani hanno analizzato le ragioni per le quali l'attività di esplorazione petrolifera nell'Alto Bradano non mette a rischio la salute e la sicurezza di tutti i Comuni coinvolti.
“[…] Il consumo di suolo, paventato dalla Giunta Regionale, non determina un impatto significativo. Né sussiste la preoccupazione della Giunta Regionale secondo cui l’attività di ricerca in commento avrebbe creato vincoli e/o condizionamenti alla programmazione ed al governo del territorio[…]”.
È questo uno dei rassicuranti passaggi della sentenza n.325 del 2015 del T.A.R. Basilicata con la quale i giudici amministrativi hanno dato il via libera alla prima fase relativa ai rilievi geologici e geofisici discendente dalla legittimità del permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi denominato “Palazzo San Gervasio”, che vedrà coinvolti tredici comuni della Provincia di Potenza (tutti rientranti nella zona del Vulture-Alto Bradano) e due della Provincia di Bari.
Sono più di venti, infatti, le pagine nelle quali il Tribunale Amministrativo lucano si sofferma ad analizzare le motivazioni in virtù delle quali possono ritenersi superate le preoccupazioni della Regione Basilicata relative alla tutela del patrimonio archeologico, dei terreni destinati alla produzione vinicola, nonché quelle relative alle falde acquifere ed ai corsi d’acqua.
A parere dei giudici amministrativi dunque, l’iter burocratico con il quale in questi anni la società statunitense promotrice dell’attività di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi si è confrontata, non ha lasciato spazio all’insorgere dei potenziali danni ambientali che avevano indotto la Giunta Regionale a negare il permesso in questione.
In particolare, il parere positivo rilasciato dal Soprintendente per i Beni Archeologici della Basilicata (atto prot. n.8054 del 26.5.2010) prescriveva l’obbligo di una previa comunicazione del perimetro esatto dei luoghi interessati alla ricerca, delle attività e delle opere da svolgere nel terreno e nel sottosuolo, oltre poi all’”impegno a farsi carico degli oneri relativi ad eventuali indagini archeologiche preliminari e/o estensive che dovessero essere ritenute necessarie dalla Soprintendenza”. Con atti prot.n.4081 del 16.6.2011 e n.7724 del 14.6.2011, venivano poi esclusi dalle attività di ricerca petrolifera anche i fiumi, i torrenti, ed i corsi d’acqua, nonché le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 m.
Quanto poi alla Determinazione del Dirigente dell’Ufficio di Compatibilità Ambientale della Regione Basilicata (Det. n.276 del 9.3.2011), essa escludeva dal permesso di ricerca:
- L’impiego di esplosivi;
- Le aree naturali protette fino ad una fascia esterna di 1 Km;
- Le aree classificate fra quelle a rischio idrogeologico molto elevato ed elevato;
- Le aree fluviali fino ad una fascia esterna di 500 m;
- Le aree agricole interessate dalla coltivazione dei vigneti;
- I centri urbani fino ad un raggio esterno di 500 m;
- Le aree sottoposte a vincolo archeologico fino ad una fascia esterna di 500 m.
Il Tribunale Amministrativo Regionale non manca, infine, di evidenziare che le modalità esecutive di questa preventiva fase di ricerca di idrocarburi programmate rientrano fra quelle più all’avanguardia: esse, infatti, prevedono l’esclusivo utilizzo di sensori (geofoni) in luogo dell’impiego di esplosivi.
Fonte: Giustizia Amministrativa
Marialuisa Palermo
(6 luglio 2015)
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