Abusi edilizi
Che hai costruito a fare sopra Posillipo?
Il Consiglio di Stato ribalta la decisione del TAR e dà ragione alla Soprintendenza che aveva negato il condono.
Una società costruisce sulla prestigiosa collina di Posillipo alcuni fabbricati edilizi senza preoccuparsi di ottenere il necessario titolo abilitativo. Gli abusi non vengono completati (restando in piedi, sul suolo, le strutture in cemento, prive finanche dei muri perimetrali) perché interessati da provvedimenti di fermo.
Sfruttando la legge sul condono edilizio del 1985 la società chiede la sanatoria, che viene di fatto impedita perché la Soprintendenza nega la necessaria autorizzazione paesaggistica. Proposto ricorso giurisdizionale avverso questo diniego di nulla osta il TAR campano dà ragione alla società, suscitando il risentimento del Ministero che propone appello al Consiglio di Stato. Con sentenza del 15 maggio 2015, n. 2478 la Sesta sezione ha dato ragione alla Soprintendenza.
I giudici del gravame hanno premesso che la tutela del paesaggio è un principio fondamentale dell’ordinamento, garantito dall’art. 9 della Costituzione, ed ha carattere di preminenza rispetto agli altri beni giuridici che vengono in rilievo nella difesa del territorio. Per tali ragioni gli strumenti urbanistici, come peraltro le autorità preposte alla loro salvaguardia, devono necessariamente tener conto delle preminenti esigenze sottese alla difesa paesaggistica.
Posto che l’area dove risultano allocati gli immobili oggetto delle domande di condono edilizio è gravata da più vincoli di tutela e si presenta come di grande pregio paesaggistico, va osservato come la Soprintendenza, nell’esprimere parere negativo sulla domanda di condono, non si sia limitata ad effettuare una mera, apodittica affermazione di incompatibilità sotto il profilo paesaggistico dei manufatti de quibus (come invece reputato dal TAR), potendosi rinvenire nella valutazione negativa molteplici ragioni logico-giuridiche che danno sufficiente contezza, non solo del disvalore paesaggistico dei manufatti in questione, ma anche delle ulteriori ragioni giustificative del diniego espresso.
I giudici di appello hanno rilevato che, nella propria valutazione negativa, la Soprintendenza non si è limitata, infatti, solo a constatare lo stato di fatiscenza e di degrado attuale degli immobili oggetto della domanda di condono, ma ha richiamato espressamente la relazione tecnica illustrativa del responsabile del procedimento sugli accertamenti circa la conformità dell’intervento proposto con le prescrizione contenute nei provvedimenti di dichiarazione di interesse pubblico e delle norme tecniche di attuazione del PTP di Posillipo.
Da detta relazione tecnica, nonché dalla documentazione fotografica esaminata, la Soprintendenza ha potuto constatare la mancata ultimazione dei fabbricati sottoposti a domanda di condono, considerato che detti “organismi pressoché sprovvisti di muri perimetrali, privi di coperture e/o dotati di coperture provvisorie, al punto che, denegato il progetto di completamento allegato alla richiesta, il coordinatore del dipartimento Ambiente del Comune di Napoli si è trovato, irritualmente, nella necessità di dover prescrivere il tipo, la qualità e le modalità del completamento delle opere”.
Difetterebbe, pertanto, come correttamente rilevato dalla Soprintendenza di Napoli, lo stesso presupposto giuridico (ultimazione delle opere al 1° ottobre 1983) perché possa trovare applicazione la disciplina del condono edilizio ai sensi della legge n. 47 del 1985.
In sostanza, si tratta, da un lato, di immobili non funzionalmente ultimati, sprovvisti di murature perimetrali e che, in concreto, nella loro configurazione attuale, integrano “una situazione di incompatibilità con il vincolo paesaggistico, ciò anche in considerazione delle disposizioni contenute nelle norme tecniche di attuazione del PTP di Posillipo, in particolare della zona P.I., al cui interno ricade il complesso”.
I giudici di Palazzo Spada hanno quindi ritenuto che quella fornita dalla Soprintendenza fosse una motivazione pienamente aderente alla realtà dei fatti, che risulta corretta manifestazione dei poteri tecnico discrezionali affidati alla Autorità soprintendentizia, nella parte in cui ha ravvisato la incompatibilità delle opere da condonare con il paesaggio in cui le stesse risultano inserite, e cioè con quella particolare forma del territorio percepibile nei suoi tratti identitari tradizionali.
In definitiva, detta motivazione, frutto di un giudizio immune da vizi logici o di manifesta irragionevolezza da parte degli organi a ciò deputati, è sufficiente a garantire la legittimità del diniego, contenendo la stessa valutazioni connotate da elementi tecnico-discrezionali plausibili e pertanto non sindacabili in questa sede giurisdizionale; in cui, a tutto concedere, ad evitare inammissibili sovrapposizioni del giudicante in ambiti che la legge ha voluto riservare alle amministrazioni titolari del potere, rileverebbe (ipotesi peraltro non sussistente nel caso di specie) un’eventuale illogicità manifesta, una palese incongruità o inadeguatezza del provvedimento in rapporto alle sue finalità di protezione del territorio vincolato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 25 febbraio 2013, n.1129 e Cons. Stato, sez. VI, 23 giugno 2014, n. 3178).
Rodolfo Murra
(18 maggio 2015)
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