Reati contro la P.A.
Cassazione: i furbetti del cartellino sono truffatori
I principi sanciti dalla Suprema Corte nella sentenza del 9 novembre 2016.
"La falsa attestazione del pubblico dipendente relativa alla sua presenza in ufficio, riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, integra il reato di truffa aggravata ove il soggetto si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che questi ultimi siano economicamente apprezzabili. L'omessa timbratura del cartellino, in occasione di allontanamenti intermedi del dipendente, impedisce pertanto a sua volta il controllo di chi è tenuto alla retribuzione, sulla quantità dell'attività lavorativa prestata, tanto in vista di un recupero (ove previsto) del periodo di assenza, quanto in vista di una detrazione correlativa dal compenso mensile, così che, sotto tali profili, costituisce condotta idonea a trarre in inganno ed a far conseguire ingiusti profitti".
E' questo il principio ribadito dalla Seconda Sezione della Corte di Cassazione che, nella sentenza pubblicata il 9 novembre 2016 (Pres. Fumu - udienza 10.6.2016), chiarisce ulteriormente come tale l'omissione sia giuridicamente rilevante, poiché il dipendente pubblico è tenuto ad uniformarsi ai principi di correttezza, anche nella fase esecutiva del contratto e, pertanto, ha l'obbligo giuridico di portare a conoscenza della controparte del rapporto di lavoro non soltanto l'orario di ingresso e quello di uscita, ma anche quello relativo ad allontanamenti intermedi sempre che questi, conglobati nell'arco del periodo retributivo, siano economicamente apprezzabili: tale obbligo va adempiuto tramite i sistemi all'uopo predisposti e, quindi anche mediante la corretta timbratura del cartellino segnatempo o della scheda magnetica, ove installati, salvo che siano adottate altre procedure equivalenti, a condizione che queste siano formali e probatoriamente idonee ad assolvere alla medesima funzione.
Da ultimo nella sentenza si precisa che "anche l'indebita percezione di poche centinaia di euro, corrispondente alla porzione di retribuzione conseguita in difetto di prestazione lavorativa, costituisce un danno economicamente apprezzabile per l'amministrazione pubblica e che danno apprezzabile non è sinonimo di danno rilevante, non limitandosi il concetto alla mera consistenza quantitativa ma investendo tutti gli aspetti pregiudizievoli per il patrimonio".
Sulla base dei principi sopra esposti la Suprema Corte ha dichiarato inammissibili i ricorsi proposti da tre dipendenti comunali condannati per il reato di truffa continuata in quanto con artifici e raggiri consistiti nell'omessa annotazione sul cartellino elettronico di allontanamenti intermedi dal posto di lavoro, attestavano falsamente la propria presenza in ufficio inducendo in errore l'amministrazione di appartenenza e procurandosi così un ingiusto vantaggio patrimoniale, pari alla retribuzione indebitamente percepita nei periodi in cui si allontanavano indebitamente dal posto di lavoro.
Fonte: Corte di Cassazione
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La Direzione
(15 novembre 2016)
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