Mafia e fede
"Inchino" della Madonna al boss: verità o illusione collettiva?
Col passare delle ore il "caso" di Oppido Mamertina sembra sgonfiarsi. Nessun omaggio al boss di turno, semplice devozione popolare. Nessun "inchino" della Madonna dunque. Si è trattato forse di un caso di isteria collettiva?
Mentre passano le ore e crescono i comunicati, le dichiarazioni, le reprimende e le condanne, sembra farsi sempre più largo l'ipotesi che il caso di Oppido Mamertina non sia stata l'ennesima prova della connessione fra fede e mafia, bensì un mero fenomeno di isteria mediatica collettiva.
Tutto accade il 2 luglio, in occasione della festa della Madonna delle Grazie a Tresilico, frazione di Oppido Mamertina, terra tristemente nota alle cronache per agghiaccianti crimini mafiosi. Terra, tuttavia, di grande fede e devozione. Come ogni anno la processione si snoda per le vie del paese e laddove la statua della Madonna non può passare - perché la strada è stretta e i portatori non riescono a manovrare bene il simulacro - la processione si ferma per qualche istante e l'immagine della Madonna viene rivolta verso l'imbocco della strada, per salutare tutti i fedeli che vi abitano.
Anche quest'anno a Tresilico la processione si è svolta secondo il percorso abituale, nessuna novità rispetto allo scorso anno o a decine di anni addietro. Così racconta il parroco don Benedetto Rustico, già noto per le sue tuonanti prediche contro la mafia, per le fiaccolate in ricordo delle vittime della mafia, ma oggi sbattuto in prima pagina come un prete filo-mafioso. Eppure, a un certo punto della processione il comandante della locale stazione dei carabinieri, Andrea Marino, decide di abbandonare la processione. Secondo lui l'aver voltato l'immagine della Madonna verso una precisa via nella quale abita da decenni un 'ndranghetista ai domiciliari, sarebbe stato un gesto di onore verso il mafioso.
A restare stupito per il gesto è stato anzitutto il neoeletto primo cittadino di Oppido, Domenico Giannetta, che al Corriere ha dichiarato: "Eravamo tutti alla processione in onore di Maria Santissima delle Grazie: noi amministratori, le autorità civili e militari. A un certo punto il comandante della stazione viene da me e dice: io me ne vado. Gli chiedo: e perché? E lui: perché questo gesto è una forma di riverenza verso un boss e non lo posso accettare. Io, la mia giunta, perfino il comandante della polizia municipale che era accanto a me, siamo rimasti un po’ scossi…". Il Sindaco ha poi aggiunto: "visto che la processione è uguale a se stessa da una vita e che in quelle case ci abitano le stesse persone, come mai lui ha aspettato sette anni per questa protesta? L’ho pure chiamato e gliel’ho chiesto ma non mi ha risposto."
Evidentemente il Sindaco Giannetta non aveva fatto i conti con la futura isteria collettiva mediatica che sarebbe scaturita da questo gesto del comandante dei Carabinieri di Oppido. Si va dagli anatemi del Ministro dell'Interno Alfano che ha definito l'episodio un "rituale ributtante" all'incredibile rapidità con cui tutti gli esponenti della Chiesa Italiana si sono affrettati a condannare il gesto, a lanciare scomuniche ancora più forti di quelle del Papa, persino a ipotizzare un divieto delle processioni nei paesi a "rischio" mafioso.
Questa isteria collettiva alimentata a dismisura dai media che solitamente d'estate sono a corto di notizie, rischia tuttavia di criminalizzare non solo tutta la devozione popolare meridionale, considerata facilmente permeabile alla mafia, ma anche intere comunità che non hanno alcuna relazione con la presenza di criminali al loro interno. L'episodio è tuttavia rivelatore. Il primo a parlare di questi "inchini" di statue ai mafiosi fu Nicola Gratteri, attuale procuratore capo di Reggio, in riferimento alla processione di San Catello a Castellammare di Stabia. Anche qui, tuttavia, l' "inchino" era piuttosto equivoco. Se per il giudice antimafia il Santo si fermava ad onorare un camorrista, per la Chiesa locale si trattava di una antica tradizione volta a ricordare la presenza in quel luogo di quella che un tempo era la chiesa di Santa Fara. Eppure la suggestione pittoresca di questi boss che vivono fra santini e rituali devozionali ha sempre più spinto alla demonizzazione delle devozioni popolari del sud. Anzi, alla pretesa - questo il caso di Tresilico - di cambiare itinerari e rituali processionali per "evitare" l'evocazione di possibili onori tributati al boss di turno.
Oggi è facile per i vari Saviano o per i vescovi impegnati nell'emulazione di Francesco come Mons. Nunzio Galantino accusare, denunciare, "dargli" al presunto untore sacral-mafioso. Ed è estremamente facile per i media costruire una trama degna de il Padrino o della più metropolitana serie dei Sopranos su un possibile errore di prospettiva di un Carabiniere. Come è facile generalizzare e dipingere la Calabria come terra di devozioni primitive e para-mafiose. Meno facile è spiegare che le tradizioni popolari sono fatte di rituali spesso di difficile comprensione, di iterazione di ritmi e percorsi che nulla hanno a che fare con la criminalità organizzata. E che la Chiesa non è solo quella che facilmente lancia proclami o scomuniche senza vivere in un territorio difficile, fidandosi della retorica e della cassa di risonanza dei media. Certo, è più facile creare le notizie a partire da una trama già nota, sullo stile dell'elaborazione della fiaba spiegato da Propp. In questo modo tuttavia si apre un insanabile iato fra forze dell'ordine che non sbagliano mai e amministrazioni locali che siamo abituati ad immaginare colluse e permeabili dall'azione mafiosa. Fra cassa di risonanza mediatica che dobbiamo fermamente credere in buona fede e perennemente veritiera e dichiarazioni di singoli cittadini, di sindaci, preti e altri locali che vanno sempre prese con le pinze.
Si crea così una metarealtà che necessariamente dev'essere assecondata, perché cercare di dimostrarne l'inconsistenza è uno sforzo vano. Anche il Sindaco di Oppido si è arreso e ha pubblicato un comunicato molto duro contro la mafia in relazione alla festa della Madonna delle grazie di Tresilico. Non ce n'era bisogno. Basta sfogliare la bacheca di facebok sua o di sua moglie per trovarvi condivisi nelle scorse settimane link contro la mafia postati dallo stesso Comandante dei Carabinieri che ha disertato la processione. Ma in questo caso chi ha vinto? Lo Stato o l'isteria collettiva alimentata dai media? E soprattutto forse la mafia si combatte criminalizzando intere comunità e non colpendola al cuore, quello degli affari e dei traffici illeciti? Domande sulle quali, è vero, serve spendere parole più ponderate, azioni più efficaci, uomini e mezzi per le procure, e non dar semplicemente fiato ad una ripetitiva quanto scontata retorica.
Francesco Colafemmina
(8 luglio 2014)
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