Consiglio di Stato
Concorsi: equipollenza solo se espressamente prevista
La P.A. deve indicare i criteri di valutazione se vuole allargare la possibilità di scelta a lauree diverse da quelle indicate. I principi sanciti dalla quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 16 gennaio 2015.
La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 16 gennaio 2015 ha evidenziato come, nella problematica dell’equipollenza “ex lege” o in sede amministrativa dei titoli universitari, si contrappongono da una parte il principio del valore legale dei titoli di studio, in base al quale spetta allo Stato stabilire la valenza delle diverse lauree, e dall'altra il principio di autonomia delle singole amministrazioni, alle quali è evidentemente consentito determinare le professionalità di cui ha bisogno la struttura, identificandole con il titolo di studio necessario.
Qualora l'amministrazione limiti la partecipazione a un procedimento di assunzione a chi sia in possesso di una determinata laurea, la sua volontà è chiara e determinata per cui non può esserle imposta l'acquisizione di professionalità diverse sulla base di una valutazione di equipollenza che essa ha escluso.
L'applicazione del principio di equipollenza è consentito solo se imposto dalla legge (v., in particolare, l'art. 9, sesto comma, della legge 19 novembre 1990, n. 341, e relative norme d’attuazione).
Qualora, quindi, l'Amministrazione indichi nel bando di voler acquisire personale con la professionalità definita da una determinata laurea o da quelle equipollenti, espressamente richiamate, si pone il problema dell'interpretazione della sua volontà.
In tale caso occorre stabilire se con tale espressione l'Amministrazione abbia inteso richiamare, puramente e semplicemente, il sistema delle equipollenze quale definito dalla legge 19 novembre 1990, n. 341, ovvero abbia inteso ampliare la scelta a ulteriori professionalità, equivocamente definite con l'aggettivo "equipollente" che, come si è visto, nel sistema normativo ha un significato ben definito.
Nel caso di specie, ad avviso del Consiglio di Stato, l'Amministrazione ha inteso richiamare puramente e semplicemente il sistema normativo, senza attribuirsi alcuna facoltà discrezionale di valutazione della corrispondenza di lauree diverse da quelle espressamente indicate, insieme a quelle dichiarate equipollenti dallo Stato, con le proprie necessità organizzative.
Diversamente opinando, precisa il Collegio, le scelte dell'Amministrazione non potrebbero che risulterebbe opinabili o arbitrarie: “se, infatti, l'Amministrazione avesse voluto aprire la partecipazione al concorso a candidati in possesso di lauree non identificate "a priori", valutando successivamente la loro rispondenza alle sue necessità, avrebbe dovuto necessariamente predisporre una griglia di valutazione della conformità dei titoli diversi da quelli espressamente indicati con le sue esigenze. In caso contrario, l'ammissione dei candidati al concorso sarebbe determinata da valutazioni compiute in maniera non anonima ma espressamente concernente la domanda di un singolo candidato, di cui necessariamente l'Amministrazione conosce il nominativo.
In conclusione, laddove un'amministrazione con il bando di concorso per l'accesso all'impiego presso la sua struttura limiti la partecipazione a quanti siano in possesso di una determinata laurea possono partecipare al procedimento solo quanti siano in possesso della medesima o di lauree dichiarate equipollenti a norma di legge.
Qualora l'amministrazione apra la partecipazione al concorso ai candidati in possesso di talune lauree, espressamente ammettendo anche i candidati in possesso di lauree equipollenti, occorre interpretare la sua volontà in modo da accertare se in tal modo si è voluto semplicemente richiamare il dettato legislativo ovvero si è inteso allargare la possibilità di scelta a lauree diverse da quelle indicate.
In quest'ultimo caso, conclude il Consiglio di Stato, l'amministrazione deve esplicitare i criteri in base ai quali condurre la relativa valutazione, ed in mancanza di tali criteri la sua volontà deve essere ricostruita nel senso del semplice richiamo della normativa statale di riferimento.
La Direzione
(21 gennaio 2015)
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