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giustizia

Maternità, il Consiglio di Stato sull'indennità giudiziaria rimette gli atti alla Corte di Giustizia

Dubbi sull'esistenza del diritto per periodi anteriori alla L. n. 311 del 2004.

Un g.i.p. in servizio presso il Tribunale di Cagliari chiedeva la corresponsione delle differenze retributive ed in particolare l’indennità giudiziaria di cui all’art. 3, comma 1, della L. 19 febbraio 1981 n. 27, relativamente a due periodi di congedo straordinario di assenza obbligatoria per maternità. Con provvedimento del 30 marzo 2007 il Ministero della Giustizia comunicava all’interessata i motivi del rigetto dell’istanza.

Con ricorso straordinario l’interessata impugnava tale provvedimento chiedendo il riconoscimento del diritto all’indennità giudiziaria per i due periodi di congedo per maternità, anteriori alla L. n. 311 del 2004. A sostegno del diritto alle differenze retributive ricordava, richiamando il contenuto dell’istanza, che l’art. 3, comma 1 della L. 19 febbraio 1981 n. 27, nel testo novellato dall’art. 1, comma 325, della Legge finanziaria 30 dicembre 2004 n. 311, troverebbe applicazione anche per quelle fattispecie verificatesi prima dell’entrata in vigore di quest’ultima, rispetto alle quali non si fosse maturato il periodo di prescrizione estintiva del relativo diritto, decorrente da tale medesima data (secondo il comma 572 dell’art. 1 della L.311/2004, “La presente legge entra in vigore il 1° gennaio 2005”).

Il Consiglio di Stato, Sezione Seconda, ha rimesso gli atti alla Corte di Giustizia con provvedimento n. 1665/2015 avente il 4 giugno 2015 come data di spedizione.

Dopo le numerose pronunce della Corte Costituzionale che hanno escluso il contrasto dell’art. 3 della L. n. 27/81 con gli artt. 3, 30, 31 e 37 Cost., la questione che residua ed è ancor più rilevante nel ricorso straordinario proposto è se il medesimo art. 3, primo comma, nel testo anteriore alla modifica introdotta dall'art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004 n. 311, sia compatibile con il diritto comunitario, nelle varie disposizioni in cui vi si assicura la tutela della maternità e la non discriminazione tra i sessi, anche sotto il profilo retributivo riferito al lavoro dipendente.

Il principio della parità retributiva tra lavoratori di sesso maschile e femminile per lavori identici o di equivalente impegno, inizialmente rivolto a prevenire distorsioni della concorrenza all’interno del mercato comune riconducibili a casi patologici di sottoretribuzione del lavoro femminile, è divenuto, per effetto della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE e delle intuibili implicazioni di politica sociale, un vero e proprio diritto fondamentale della persona (cfr. la direttiva 2006/54/CE del Parlamento e del Consiglio, del 5 luglio 2006, cui in Italia è stata data attuazione soltanto con il d.lgs. 25 gennaio 2010, n. 5).

Tutta la citata giurisprudenza comunitaria, ha ricordato la Sezione Seconda del Consiglio di Stato, è univocamente orientata a far sì che lo stato di maternità non determini una condizione deteriore nel rapporto di lavoro della lavoratrice madre interessata.

Ma poteva la sezione consultiva sollevare l'incidente? Secondo la giurisprudenza della stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea, quando il Consiglio di Stato, in sede consultiva, emette un parere nell’ambito di un ricorso straordinario, esercita una funzione giurisdizionale ed è quindi un organo di giurisdizione ai sensi dell’art. 177 del Trattato istitutivo dell’Unione Europea (così Corte di Giustizia CE del 16 ottobre 1997, nei procedimenti riuniti da C-69/96 a C-79/96), ora art. 267 del TFUE.

Non vi è dubbio inoltre, nonostante l’art.267 del TFUE nel secondo paragrafo riporti testualmente "questione … sollevata dinanzi ad una giurisdizione di uno degli Stati membri", che tale questione possa sollevarsi anche d'ufficio e non soltanto su eccezione delle parti.

Di conseguenza, il Supremo Consesso ha sospeso il proprio giudizio sollevando la questione pregiudiziale rimettendo alla Corte europea il seguente quesito: “se gli artt. 2, paragrafo 2, lettera c), e 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2006/54, in combinato disposto tra loro, nonché l’art. 15 ed il 23° e 24° Considerando della direttiva 2006/54/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006, ed infine l’art.23 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea 2000/C 364/01, ostino ad una normativa nazionale che, ai sensi dell’art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27, nel testo anteriore alla modifica introdotta dall'art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, non consenta di corrispondere l’indennità ivi prevista per i periodi di congedo obbligatorio per maternità anteriori al 1° gennaio 2005”.

Rodolfo Murra

(21 giugno 2015)

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