TAR NAPOLI
Senza agibilità il Comune deve chiudere l'esercizio commerciale
L'esercizio del commercio è ancorato alla legittimità urbanistico-edilizio dei locali dove si svolge l'attività.
Un Comune della Campania, dopo una diffida rimasta senza riscontro, ordinava la chiusura di un esercizio commerciale che risultava privo del certificato di agibilità dei locali presso i quali esercitava l’attività. Il titolare gravava il provvedimento davanti al TAR sostenendo l’insufficienza del solo motivo formale della mancanza del certificato di agibilità, in mancanza di ragioni sostanziali di insalubrità, antigienicità o non agibilità dei locali, deducendo in tal senso l’illegittimità del diniego di autorizzazione commerciale motivato esclusivamente da ragioni urbanistico – edilizie.
Il Comune ha resistito in giudizio obiettando che il titolo abilitativo all’esercizio di un’attività commerciale presuppone la regolarità urbanistico-edilizia dei locali interessati.
Il TAR Campania (Sez. III della sede di Napoli) con sentenza 4 luglio 2018 n. 4448 ha respinto il ricorso.
E’stato osservato che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, nel rilascio dell’autorizzazione commerciale occorre tenere presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere, con l’ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo ove fondato su rappresentate e accertate ragioni di abusività dei locali nei quali l’attività commerciale viene svolta. Il legittimo esercizio dell’attività commerciale è pertanto ancorato, non solo in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’Autorità amministrativa di inibire l’attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi che accertano l’abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale.
Tale conclusione, secondo i giudici campani, trova del resto riscontro nel D.L.vo 31 marzo 1998 n. 114 (recante la riforma della disciplina relativa al settore del commercio), il cui art. 7, relativo agli esercizi di vicinato, nella parte rimasta in vigore dopo le modifiche e le abrogazioni apportate con il D.L.vo n. 59 del 26 marzo 2010, impone al soggetto interessato il rispetto dei regolamenti edilizi e delle norme urbanistiche, oltre che di quelle relative alle destinazioni d’uso.
Ancora sul piano generale, il TAR ha ricordato che al presupposto del rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche (oggetto della specifica funzione del titolo edilizio) si aggiunge quello del rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti che il certificato di agibilità aveva la funzione di attestare (art. 24 T.U. n. 380 del 2001); ed al riguardo la giurisprudenza ha ribadito come i diversi piani possano convivere sia nella forma fisiologica della conformità dell’edificio ad entrambe le tipologie normative sia in quella patologica di una loro divergenza.
Nel caso in esame, constatata la carenza del presupposto di cui in argomento, il Comune non avrebbe potuto fare altro che impedire lo svolgimento dell’attività commerciale mediante l’adozione di un provvedimento di natura doverosa e vincolata, che, perciò, resiste anche alla (ulteriormente dedotta) censura di omessa comunicazione di avvio del procedimento.
Mattia Murra
(10 luglio 2018)
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