Governo del Territorio
E' finita l'era dell'esclusiva universitaria su incarichi e consulenze: via libera agli ingegneri
Il Consiglio di Stato bacchetta il Comune di Brescia sul nuovo Piano di Governo del Territorio. Il bando per l'affidamento dell'incarico non potrà più essere riservato ai soli Istituti Universitari.
Giustizia è fatta per gli ingegneri Lombardi.
Ora il Comune di Brescia non potrà più escluderli dal partecipare al bando per il nuovo progetto del territorio.
La questione, sulla quale si è pronunciata in via incidentale anche la Corte di Giustizia Europea, si è conclusa positivamente per gli Ordini degli Ingegneri lombardi che hanno visto accolto l’appello innanzi al Consiglio di Stato. Niente più discriminazioni e falsamento della concorrenza: chi ha le carte in regole e le competenze adeguate deve essere libero di partecipare al bando.
Così il Giudice Amministrativo ha chiuso la vicenda con sentenza del 23 giugno, annullando gli atti che riguardavano l’affidamento dell’incarico di studio e consulenza all’Università di Pavia con esclusione degli studi di ingegneria e progettazione urbanistica.
L’avviso di selezione disponeva, in modo illegittimo, che fossero gli Istituti Universitari i più adatti a garantire, in ragione del carattere multidisciplinare della loro organizzazione e delle loro strutture scientifiche, un livello di attività di studio, consulenza e coordinamento adeguato.
Tutti i migliori e prestigiosi studi di ingegneria erano fuori, a prescidere.
Così quasi tutti gli ordini degli ingegneri della Lombardia sono insorti nel vedere così manifestamente violato il loro diritto a concorrere per l’affidamento di un lavoro di progettazione così imponente.
I ricorrenti, prima con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, poi innanzi al giudice amministrativo, hanno dedotto, in particolare, la violazione dei principi generali in materia di affidamento di incarichi di servizi, ai sensi della normativa nazionale e comunitaria.
In primo grado il Tar, facendo richiamo ad alcune sentenza della CGCE ed all’art. 15 della legge sul procedimento amministrativo, aveva rigettato il ricorso sul rilievo che nel nostro ordinamento è possibile stipulare accordi a titolo oneroso tra amministrazioni pubbliche quando l’obiettivo è disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune.
Gli Ordine degli ingegneri, che non si sono dati per vinti, hanno proposto appello deducendo ancora la violazione del codice dei contratti pubblici di appalto.
Il Consiglio di Stato, rilevata la delicatezza del caso e la presenza di questione interpretativa pregiudiziale, nel 2011 ha rimesso alla Corte di Giustizia UE la causa chiedendo di valutare se l’affidamento all’Università, senza procede a gara pubblica, fosse compatibile con l’ordinamento Europeo.
Il problema di fondo risiedeva nel fatto che, pur essendo un ente pubblico, l’università è ritenuta nella direttiva sugli appalti pubblici (per settori ordinari) anche operatore economico, quindi soggetto alle regole sulla concorrenza.
La CGCE, inquadrata la problematica, ha rinviato nuovamente al giudice nazionale per l’accertamento del rispetto delle condizioni essenziali previste dalla normativa Europea.
Al di là del fondamento scientifico, ha detto la Corte sovranazionale, le attività di studio e progettazione sono oggettivamente ascrivibili a servizi tipici delle professioni di ingegnere ed architetto, il che avrebbe escluso l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune all’ente locale e all’Università.
Secco allora il giudice di Palazzo Spada al quale è stata demandata la decisione: riguardo la natura delle attività dedotte in contratto è esclusa la configurabilità di una cooperazione tra enti pubblici finalizzata a garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune a questi ultimi.
Niente di più di contratto con natura privatistica, per di più violando le regole concorrenziali.
E’ vero, la cooperazione tra enti pubblici può e deve sussistere ma deve avere alcuni tratti distintivi che nel caso in esame erano assenti.
Necessario, dice il giudice, è che la collaborazione verta sul carattere comune dell’attività che svolgono gli Enti e che, in un ottica Europea, l’accordo riguardi attività non deducibili in contratti di diritto privato. È inoltre essenziale una pari dignità tra gli Enti che si accordano, non al fine di comporre un conflitto di interessi di carattere patrimoniale, bensì di coordinare i rispettivi ambiti di intervento su oggetti di interesse comune attraverso una “sinergica convergenza”.
È proprio questa convergenza a difettare, afferma oggi il giudice, perché la prestazione di consulenza scientifica e tecnica soddisfava solo l’esigenza del Comune di pianificazione del territorio.
Il motto “l’unione fa la forza” non è esattamente applicabile quando di parla di servizi pubblici.
Un conto è che gli enti hanno stessi obiettivi perseguibili solo attraverso la pubblica collaborazione, un conto è mascherare una prestazione di consulenza astrattamente reperibile presso soggetti privati.
L’Università di Pavia in questo caso ha assunto, con violazione della concorrenza, la veste di operatore economico privato.
Il servizio, seppur necessitato dal carattere scientifico, opera in una logica di scambio economico che in alcun modo legittima l’esclusione di intere categorie di professionisti.
Ora un nuovo bando dovrà essere indetto e stavolta senza più restrizioni ingiustificate. Sotto a chi tocca.
Luca Tosto
(24 giugno 2014)
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