reati in materia di immigrazione
Extracomunitari: condanne per false regolarizzazioni
Associazione a delinquere e falso in atto pubblico, la Corte di Cassazione chiarisce le modalità di calcolo della pena.
Nel territorio pratese, dove giungono ormai migliaia di cittadini extracomunitari con la speranza di pervenire a condizioni di vita più agiate che nel loro paese, vi è una rete di personaggi che sfrutta le necessità di queste persone.
Dopo tre gradi di giudizio, con la sentenza della Cassazione 45504, depositata il 4 novembre, si è chiusa la partita per alcuni di loro, con parziale prescrizione dei reati ascritti, dato il fatto che le condotte in questione risalivano agli anni 2002 - 2004. Sono importanti tuttavia i chiarimenti della Suprema Corte per quanto riguarda situazioni simili.
Il gruppo nutrito (ben sei persone), ognuno con ruoli diversi, formava e produceva presso le prefetture e le questure di Prato, Firenze e Pistoia dichiarazioni e documenti falsi attestanti falsamente la preesistenza di rapporti di lavoro e di sistemazioni abitative, nonché la cessazione dei rapporti di lavoro stessi, ingannavano i pubblici ufficiali addetti agli uffici indicati, inducendoli ad attivare la procedura che si concludeva con il rilascio di permessi di soggiorno ideologicamente falsi perché basati su presupposti inesistenti, a molteplici cittadini stranieri.
Da tutto ciò traevano profitto spesso anche attraverso il reclutamento di datori di lavoro (anch’essi senza scrupoli).
La loro attività di associazione a delinquere (per alcuni di loro) era infatti diretta a favorire l’ingresso, o comunque la permanenza nel territorio italiano di cittadini stranieri in violazione delle norme di legge inducendo lo Stato a ritenere che quei rapporti di lavoro fossero esistenti, ci fossero idonee sistemazioni abitative, il tutto al fine di attivare le procedure di regolarizzazione degli stranieri.
Un numero indeterminato di delitti contro l’immigrazione e delitti di falso documentale, commessi utilizzando come base operativa lo studio professionale di uno degli imputati.
In particolare, attraverso la presentazione di fittizie pratiche di sanatoria, di false dichiarazioni di emersione, di indebiti pagamenti di contributi Inps da parte degli stessi lavoratori extracomunitari, di falsi contratti di soggiorno e di buste paga, di false dichiarazioni di ospitalità e falsi licenziamenti, avevano compiuto 172 false dichiarazioni di emersione e ottenuto il rilascio di 124 permessi di soggiorno.
Un iter burocratico complesso volto a sfruttare fittiziamente la legge 222/2002 sulla regolarizzazione di lavoratori extracomunitari, peraltro mai conosciuti.
L’attività “seriale” degli associati, con un vero e proprio “tariffario” per le prestazioni erogate, non si traduceva solo nella presentazione delle false denunce di emersione, legate al preciso arco temporale finale fissato dalla legge (dicembre 2002), ma anche dopo, essendo (l’associazione) “punto di riferimento di molteplici lavoratori extracomunitari, al fine di consentire la permanenza degli stessi nel nostro Stato, attraverso l’ottenimento dei permessi di soggiorno”.
Come accennato, la pronuncia ha il pregio di aver chiarito quali reati possono essere ascritti a casi similari.
Rispondono i giudici: i reati di falso sono più di uno o le condotte illecite vengono assorbite (con una minore pena quindi) nel solo reato di falso prevista dall’art. 1, comma 9 della legge 222/2002?
L’art. recita: “chiunque presenta una falsa dichiarazione di emersione ai sensi del comma 1, al fine di eludere le disposizioni in materia di immigrazione del presente decreto, è punito con la reclusione da due a nove mesi, salvo che il fatto costituisca più grave reato”.
Tale reato, dice il giudice, riguarda solamente la presentazione di una falsa dichiarazione di emersione al fine di eludere le disposizioni in materia di immigrazione o la falsa attestazione nei confronti della autorità amministrativa sulla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con un extracomunitario irregolare.
Il falso ideologico in atto pubblico, indotto nei pubblici funzionari, dei quali rispondono i soggetti che ingannano, in questo caso è reato diverso perché riguardava “un documento del tutto diverso (il permesso di soggiorno), la cui emissione, nell’ambito della sanatoria disciplinata dalla citata l. 222/2002, comportava un articolato procedimento amministrativo”.
“Le condotte illecite “falsificatorie” ravvisabili nella fattispecie in esame non possono essere ricondotte alla fattispecie di cui all’art. 1/9 L. n. 222/2002, essendo plurime e più ampie (…); la dichiarazione di emersione costituiva solo un segmento del percorso …”.
Concludendo quindi, i giudici di Piazza Cavour hanno chiarito che in questi casi i reati di falso si cumulano e, oltre al possibile reato di associazione a delinquere, vi è una maggiore pena senza possibilità di ritenere le proprie condotte parte di un “unico calderone”.
Fonte: Corte di Cassazione
Luca Tosto
(7 novembre 2014)
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