Sanzioni disciplinari
Non e' vietato armarsi di sgabello dinanzi alle ingiurie di un collega
Il Consiglio di Stato annulla la sanzione disciplinare irrogata a un medico che - provocato da un collega particolarmente ingiurioso - tenta di colpirlo con uno sgabello dell'ambulatorio.
Le discussioni sul posto di lavoro, si sa, sono all’ordine del giorno.
Tuttavia, a volte, queste discussioni assumono le sembianze di vere e proprie baruffe, ricche di offese, spintoni e sgabelli impropriamente branditi come arma, con buona pace dei reciproci doveri di rispetto e colleganza.
Questo è lo scenario che ha visto coinvolti due medici del Reparto di Dermatologia presso l’Ospedale di Dolo, provincia di Venezia, caratterizzato da un ulteriore tocco di drammaticità apportato dall’improvviso malore di un’infermiera, in evidente stato di gravidanza, dovuto all’agitazione provocata dalla lite tra i due medici.
A seguito di tale lite, il responsabile del procedimento disciplinare della Azienda ULSS 13 di Miranda (VE) comminava nei confronti del medico che aveva tentato di colpire il collega con uno sgabello girevole, la sanzione disciplinare di riduzione dello stipendio nella misura di 1/10 di una mensilità, per la durata di sei mesi, in virtù del comportamento scorretto tenuto nei confronti del collega e dell’infermiera. A seguito di reclamo da parte del medico sanzionato al Collegio arbitrale di disciplina (ai sensi dell’art. 59, comma 7, Dlgs n. 29/1993), la riduzione dello stipendio veniva ridimensionata e fissata nella misura di 1/10 della mensilità per la durata di un mese.
Non contento del ridimensionamento della sanzione e assetato di giustizia, il medico proponeva ricorso al Tar Veneto, chiedendo l’annullamento della sanzione disciplinare.
A parere del ricorrente, la sanzione era censurabile sia sotto il profilo procedimentale, dato che la stessa era stata originariamente comminata dal responsabile del procedimento senza che questo avesse prima trasmesso gli atti alla Commissione disciplinare, competente, a norma di legge (artt. 103 e seguenti del Dpr n. 3/1957), ad esprimere una preventiva valutazione dei fatti addebitati al dipendente nei casi di adozione di sanzione che vada oltre la mera censura, sia sotto il profilo sostanziale, nei termini di travisamento dei fatti, posto che nella valutazione degli eventi non si era minimamente tenuto conto del comportamento offensivo dell’altro medico.
Tuttavia il Tar Veneto, con sentenza n. 1100/2005 ha respinto l’impugnazione proposta dal medico il quale ha, ciononostante, prontamente proposto appello al Consiglio di Stato.
Finalmente il Consiglio di Stato, con sentenza n. 4860/2014, depositato in cancelleria il 29 settembre 2014, ha accolto tutte le censure proposte dal medico ricorrente, sia quelle relative alle irregolarità procedurali del procedimento disciplinare, sia quelle, forse ancor più sentite dal ricorrente, relative al mancato accertamento dell’esatta dinamica dei fatti del litigio.
Difatti, dopo aver annullato in toto la sanzione inflitta al medico con la Delibera del Direttore Generale AULSS 13 n. 1945/1996, per aver già solo accertato il dedotto vizio procedimentale nei medesimi termini presentati dall’appellante, il Consiglio di Stato ha comunque proceduto a riesaminare la dinamica della vicenda, accertando così il travisamento dei fatti operato sia dal responsabile del procedimento disciplinare, che dal Tar Veneto.
Il Giudice amministrativo infatti, riportando l’intera dinamica della lite, come emersa dall’istruttoria svolta dal collegio arbitrale, ha sottolineato come il medico sanzionato fosse stato pesantemente ingiuriato dal suo collega, che infatti lo accusava di essere scarsamente capace ed ignorante proprio mentre stava effettuando la visita ad un paziente, che, sentite tali accuse, se ne andava via, rinunciando alla terapia che il medico ingiuriato si accingeva a praticarle; a tale episodio seguiva una breve e concitata discussione, durante la quale il secondo medico continuava ad inveire e offendere il medico ricorrente, il quale, ad un certo punto, esasperato, aveva tentato di brandire contro di lui uno sgabello girevole, con una mossa del tutto inutile data la stazza molto più robusta del collega, che, con una semplice spinta, lo buttava fuori dal proprio ambulatorio, facendogli perdere l’equilibrio e facendolo conseguentemente sbattere rovinosamente la testa contro lo spigolo di un armadietto dell’ambulatorio.
Data l’effettiva dinamica della vicenda, il Consiglio di Stato non ha dunque ritenuto condivisibili le conclusioni del giudice di prime cure, per cui il ricorrente avrebbe tentato di colpire con uno sgabello il collega, ponendo in essere una reazione del tutto sproporzionata rispetto agli insulti e al comportamento dello stesso.
Eleonora Finizio
(1 ottobre 2014)
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