Consiglio di Stato
La differenza tra mobbing e demansionamento
I principi sanciti dalla Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 12 gennaio 2015.
L’esistenza di un intento persecutorio da parte dell’Amministrazione, al fine di integrare il c.d. mobbing, secondo il costante orientamento del Consiglio di Stato, necessita della sussistenza, nei confronti del dipendente, di un complessivo disegno, da parte dell’Amministrazione, preordinato alla vessazione e alla prevaricazione, che deve pur sempre essere verificata dal giudice amministrativo, anche mediante l’esercizio dei suoi poteri officiosi, in quanto “la pur accertata esistenza di uno o più atti illegittimi adottati in danno di un lavoratore non consente di per sé di affermare l’esistenza di un’ipotesi di mobbing, laddove il lavoratore stesso non alleghi ulteriori e concreti elementi idonei a dimostrare l’esistenza effettiva di un univoco disegno vessatorio o escludente in suo danno”.
È questo il principio ribadito dalla Terza Sezione del Consiglio di Stato che, con la sentenza del 12 gennaio 2015, ha riformato la sentenza del TAR laddove, errando, ha inteso respingere la domanda risarcitoria per il danno da dequalificazione, pure formulata al primo giudice e in questa sede nuovamente riproposta avendo l’appellante correttamente distinto le due forme di danno, quello da mobbing e quello da demansionamento.
Il demansionamento subito, ad avviso del Collegio, nel caso di specie risulta lampante dalle numerose dichiarazioni scritte di colleghi, prodotte agli atti, con la conseguenza che Il T.A.R. è dunque incorso in error in iudicando omettendo di risarcire il danno da demansionamento, poiché ha anzitutto trascurato che il ricorrente in prime cure avesse chiesto, in una con il risarcimento da mobbing, anche il danno da demansionamento e ha dimenticato, così ragionando, che la dequalificazione non si può configurare come mobbing, se non si riesce a dimostrare l’esistenza di un intento persecutorio da parte del datore di lavoro, ma il demansionamento, qualora provochi danni morali e professionali, dà diritto, comunque e certamente, al risarcimento indipendentemente dalla sussistenza anche del mobbing.
Aggiunge il Consiglio di Stato che devono trovare allora corretta applicazione, in presenza del ritenuto demansionamento, i principi in materia enunciati dalla Corte di Cassazione e dallo stesso Consiglio di Stato secondo cui, in tema di tema di dequalificazione, il giudice del merito può desumere l’esistenza del relativo danno, avente natura patrimoniale e, ricorrendone i presupposti, anche non patrimoniale, il cui onere di allegazione incombe al lavoratore, determinandone anche l’entità in via equitativa, con processo logico-giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto.
Enrico Michetti
Per richiedere il testo integrale della sentenza info@gazzettaamministrativa.it
La Direzione
(21 gennaio 2015)
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