Abusivismo
Se il proprietario è incolpevole delle violazioni edilizie commesse dal proprio inquilino....
Il Consiglio di Stato spiega come si può impedire l'acquisizione dell'immobile al patrimonio comunale.
E’ ben possibile che il proprietario di un bene immobile, inciso da un abuso commesso dal suo inquilino, nulla sappia della commissione dell’abuso: ma come potrà fare per evitare che l’immobile sia acquisito al patrimonio comunale ai sensi di legge?
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, Sezione VI, con sentenza del 4 maggio 2015 n. 2211.
Va premesso che in materia di repressione di abusi edilizi l’ordine di demolizione è, in caso di locazione, legittimamente notificato anche al proprietario il quale, fino a prova contraria, è quanto meno corresponsabile dell’abuso, almeno dal momento in cui ne sia venuto a conoscenza (in tal senso, anche Cons. Stato, V, 31 marzo 2010, n.1878; VI, 10 dicembre 2010, n.8705). Se, da parte di costui, può ammettersi la completa estraneità e ignoranza nel momento della realizzazione dell’abuso e anche nel momento iniziale del primo procedimento di accertamento dell’abuso, non può invece negarsi la conoscenza da un dato momento, e quindi la sussistenza di doveri del proprietario, che riemergono a partire dal momento di conoscenza certa dell’abuso realizzato.
Non vale ad escludere l’incombenza dei doveri di gestione dominicale la circostanza della stipulazione del contratto di locazione, in quanto tale negozio, se comporta il trasferimento al conduttore della disponibilità materiale e del godimento dell’immobile, non fa affatto venire meno in assoluto in capo al proprietario i poteri e doveri di controllo, cura e vigilanza spettanti al proprietario locatore, il quale, anche se in un ambito diverso da quello in cui si esplica a sua volta il potere di custodia del conduttore, conserva un effettivo potere fisico sull’entità immobiliare locata (si pensi alla manutenzione straordinaria), con conseguente obbligo, sotto tutti i profili, di vigilanza sull’immobile (così Cassazione civile, sezione III, 27 luglio 2011, n.16422).
Sotto il profilo edilizio, se è giustificabile che tale vigilanza non sia stata attiva nella situazione di ignoranza dell’abuso, ciò non può valere dal momento in cui il proprietario ne sia stato notiziato.
Pertanto, il proprietario incolpevole di abuso edilizio commesso da altri, che voglia sfuggire all’effetto sanzionatorio di cui all’art. 31 del testo unico dell’edilizia della demolizione o dell’acquisizione, come effetto della inottemperanza all’ordine di demolizione, deve provare la intrapresa di iniziative che, oltre a rendere palese la sua estraneità, siano però anche idonee a costringere il responsabile dell’attività illecita a ripristinare lo stato dei luoghi nei sensi e nei modi richiesti dall’autorità amministrativa.
Perché vi siano misure concretanti le “azioni idonee” ad escludere l’esclusione di responsabilità o la partecipazione all’abuso effettuato da terzi, prescindendo dall’effettivo riacquisto della materiale disponibilità del bene, si ritiene necessario un comportamento attivo, da estrinsecarsi in diffide o in altre iniziative di carattere ultimativo nei confronti del conduttore (“che si sia adoperato, una volta venutone a conoscenza, per la cessazione dell’abuso”: tra le tante in tal senso, si veda Cassazione penale, 10 novembre 1998, n.2948), al fine di evitare l’applicazione di una norma che, in caso di omessa demolizione dell’abuso, prevede che l’opera abusivamente costruita e la relativa area di sedime siano, di diritto, acquisite gratuitamente al patrimonio del Comune, non bastando invece a tal fine un comportamento meramente passivo di adesione alle iniziative comunali.
Se, per ipotesi, la proprietà potesse dissociarsi soltanto con mere dichiarazioni o affermazioni di dissociazione o con manifestazioni di intenti, senza alcuna attività materiale o almeno giuridica di attivazione diretta ad eliminare l’abuso (risoluzione iniziata giudiziariamente per inadempimento contrattuale, diffide ad eliminare l’abuso, attività materiali), la tutela dagli abusi rimarrebbe inefficace nei casi di locazione.
Dunque nel caso specifico deciso dal Supremo Consesso, rispetto a tale necessaria attività di dissociazione, che il primo giudice aveva ritenuto insussistente tanto da relegarla ad una mera “intenzione”, di fatto rimasta inattuata, è risultata soltanto la mera dichiarazione, non documentata, peraltro datata, da parte degli appellanti, con cui essi dichiaravano che “stavano formalizzando la risoluzione del contratto di locazione de quo”: da qui il rigetto dell’appello, con condanna al pagamento delle spese di lite.
Rodolfo Murra
(10 maggio 2015)
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