Consiglio di Stato
Abusi edilizi fronte mare: quando l'appello è ... l'ultima spiaggia
Inutile la comunicazione di avvio del procedimento per annullare il nulla osta paesaggistico.
Due cittadini pugliesi hanno edificato un immobile senza permesso di costruire in zona paesaggisticamente tutelata e, ai sensi della seconda legge sul condono edilizio (L. n. 724 del 1994), hanno chiesto la sanatoria. Il Comune si mostra favorevole al condono e rilascia il nulla osta paesaggistico, quale ente delegato, anche se l’abuso insiste invero su area ubicata a meno di 300 metri dalla fascia costiera.
La Soprintendenza interviene annullando il nulla osta, ritenendolo assunto in violazione dell’art. 51 lett. f) della legge regionale della Puglia 31 maggio 1980 n. 56, che prevede il divieto di edificazione assoluta entro la fascia di 300 metri dal mare.
Inevitabile il giudizio instaurato dinanzi ai giudici amministrativi.
Il Tribunale amministrativo pugliese ha respinto il ricorso, ritenendo infondata la censura di violazione delle garanzie partecipative, sulla considerazione che al momento della presentazione della domanda di concessione in sanatoria vigeva il divieto assoluto di qualsiasi opera di edificazione entro la fascia di 300 metri dal confine del demanio marittimo, o dal ciglio più elevato dal mare, posto dall’art. 51 lett. f) della suddetta legge regionale, divieto che costituisce un vincolo assoluto di inedificabilità e che, quindi, comporta l’applicazione dell’art. 33 della legge 28 febbraio 1985 n. 47.
E’ il caso di dire che quella del Consiglio di Stato costituiva, per i due abusivi, l’ultima “spiaggia”.
La sentenza del TAR è stata confermata in pieno dalla decisione n. 2509 del 18 maggio 2015 resa dalla Sesta sezione.
I giudici del gravame hanno ritenuto palesemente infondata la censura relativa alla violazione dell’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento, obbligo che non deve essere inteso in senso formalistico, ma risponde all’esigenza di apportare l’apporto collaborativo da parte dell’interessato. E’ evidente, infatti, che tale obbligo viene meno (e si risolve in un aggravio procedimentale) qualora nessuna effettiva influenza potrebbe avere la partecipazione del privato rispetto alla portata non discrezionale del provvedimento finale, come del resto prevede l’art. 21 octies comma 2 della L. n. 241 del 1990.
Nel caso di specie, quindi, l’apporto dei due proprietari non avrebbe potuto condurre ad un esito diverso da quello che la Soprintendenza ha poi adottato, visto l’inequivoco tenore letterale della normativa che impediva di condurre a legittimità l’abuso realizzato.
Rodolfo Murra
(18 maggio 2015)
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