LA BELLA ITALIA - PAESAGGIO
Acerenza
La cittadina, dallo stile tipicamente medievale, fa parte dei Borghi più belli d'Italia.
Acerenza (Lagerénze in dialetto lucano) è un comune di 2.433 abitanti della provincia di Potenza. Situata su una rupe di tufo a oltre 800 metri sul livello del mare, racchiusa tra il fiume Bradano, che qui disegna un’ampia vallata, e il torrente Fiumarella, è davvero il "caelsae nidum Acherontiae", il “nido d’aquila dell’alta Acerenza” descritto dal poeta latino Orazio nato nella vicina Venosa.
La cittadina ricalca, dal punto di vista urbanistico, la tipologia delle città delle murate medioevali ed assieme ai comuni lucani di Venosa, Castelmezzano, Pietrapertosa e Guardia Perticara, fa parte dell’associazione dei borghi più belli d'Italia, che comprende in totale 196 località della penisola.
Storia
Le prime notizie di insediamenti abitati risalgono al VI secolo a.C. e sul luogo dell'attuale abitato nacque l'antica Acheruntia, Αχερουντία in greco, citata dagli scrittori romani Tito Livio e Orazio, e nel Medio Evo da Procopio. Tutti la citano come "Fortezza di guerra" e "presidio".
Nel V secolo fu istituita come una delle diocesi lucane.
Nell'IX secolo la Lucania, è divisa in un certo numero di gastaldati: secondo un trattato tra il duca di Benevento Radelchi e il principe di Salerno Siconolfo, che è generalmente datato 849, attribuisce al principato di Salerno tutta la parte sud ovest dei domini longobardi dell'Italia meridionale, nell'elenco dei gastaldati che lo compongono c'è metà del gastaldato di Acerenza, anche se nei fatti Acerenza mantenne la sua indipendenza da Salerno.
La cittadina fu oggetto di una lunga contesa tra Longobardi e Bizantini.
Gli ufficiali longobardi divennero a volte collaboratori dei funzionari bizantini e addirittura rendevano conto più allo stratego di Bari, rappresentante dell'Imperatore d'Oriente in Italia, che al principe di Salerno.
Acerenza è citata in un documento bizantino del 1002, sottoscritto dal catapano Gregorios Tarkaneiotes, nel quale si fa menzione di una contesa sorta tra il kastron (città fortificata) di Tricarico e quello di Acerenza, per il possesso di alcune terre a seguito della cacciata, da parte delle forze bizantine, di un manipolo di arabi insediati a Pietrapertosa al comando di un certo Loukas (un cristiano convertito all'Islam) che compiva scorribande nella zona.
Interessante è il fatto che in quel documento vengono ristabiliti i confini indicando punti fissi che ancora oggi sono individuabili e che costituiscono l'attuale confine tra il territorio di Tricarico e quelli di S. Chirico Nuovo e Tolve.
Nel 1041 cade in mano ai Normanni e Roberto il Guiscardo v’innalza nuove fortificazioni. Una bolla di papa Onorio III del 21 novembre 1216 vi segnala la presenza di Templari. Sul finire del XIV secolo ha inizio la storia legata alle famiglie feudatarie, quali i Sanseverino, i Durazzo, i Ruffo, i Ferrillo, gli Orsini di Gravina, i Pinelli, i Pignatelli di Belmonte.
La Cattedrale di Santa Maria Assunta e San Canio Vescovo
La Cattedrale è un pregevole monumento, tra i più importanti della regione: risalente all'XI secolo, fu consacrata nel 1080 in stile romanico con influenze gotiche. Ha una grande abside e un interno a tre navate con importanti tavole cinquecentesche.
Puro stile romanico nel meraviglioso portale dove umani e animali stanno mostruosamente avvinghiati. In età barocca la Cattedrale cambiò aspetto: fu rivestita di stucchi, che ne stravolsero spirito ed atmosfera, e tornò come era dopo i restauri degli anni Cinquanta.
Per conoscerla bisogna passeggiarle intorno, scrutando le mura di pietra antica, i volumi di absidi e torrette, andando alla ricerca dei mille, piccoli segreti prima di entrare, magari al tramonto, quando i raggi del sole attraversano il rosone e un fascio di luce intensa colpisce l’altare maggiore.
E davvero, girandole attorno fra gli stretti vicoli e le terrazze che aprono scorci sul panorama di dolci colline, la Cattedrale svela i suoi primi tesori: incastonati nella trama di pietre millenarie, ecco, isolati qua e là, i marmi di età romana, le figure scolpite di lapidi funerarie consunte dal tempo, le colonnine di fattura greca.
Ogni dettaglio è prezioso: le antiche acquasantiere, le testine di scimmia alla base delle colonne, gli affreschi (suggestiva l’immagine di Santa Margherita e il drago), i bassorilievi (il Satiro che suona lo zufolo).
Lo stemma dei Ferrillo, ripetuto cento volte su affreschi e formelle, è anche sul grande sarcofago dietro l’altare: il “Cassone di San Canio”. Agli inizi del ’500, Giacomo Alfonso Ferrillo, il “conte archeologo”, e la sua bella moglie slava, la principessa Maria Balsa, chiamarono a palazzo il maestro Pietro di Muro Lucano e gli commissionarono la realizzazione di una piccola cripta, sotto il presbiterio, mentre Giovanni Todisco, fu incaricato di affrescarla.
Fonti: Wikipedia
borghitalia.it
unionecomunialtobradano.it
Francesco La Scaleia
(11 novembre 2015)
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(indicazione fonte e, se possibile, link a pagina)
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