Antitrust
Un grosso Bluff "il primo caso di un SUV prodotto per essere venduto in un supermercato"
Per farsi pubblicità sponsorizzava un SUV ancora fuori commercio. Il Consiglio di Stato conferma sanzione dellAntritrust per pratica commerciale scorretta.
Si sa, a noi italiani piacciono le belle macchine. Caratteristiche della vettura, luogo di progettazione e fabbricazione, sono componenti a cui prestiamo attenzione.
I giornali del tempo parlavano del "primo caso in Italia di un’auto prodotta per essere venduta in un supermercato".
Quel bel modello di SUV sponsorizzato, tuttavia, ancora non esisteva nel mercato. Per di più l’auto effettivamente commercializzata al momento dell'acquisto aveva il motore cinese invece che italiano.
Con questi presupposti la caccia ai clienti per la catena di distribuzione del nord Italia è finita male: sanzione pecuniaria dell’Autority di 60 mila euro a carico di Dr Motor di Isernia e altrettanti a carico della Iper Montebello S.p.A. confermata sia dal TAR (che l’ha solamente ridotta) sia ora dal Consiglio di Stato.
Alla pratica commerciale scorretta, con cospicua sanzione pecuniaria, è seguito un contensioso tra ipermercato e Antitrust, chiuso il 22 luglio con una sentenza del Consiglio di Stato che non lascia margini all’interpretazione.
In particolare, i messaggi proponevano un’autovettura acquistabile in tutti i punti vendita dell’ipermercato con motore italiano powertrain common-rail di ultima generazione, design italiano al prezzo di 15.900 euro, mentre il consumatore, recandosi presso i punti vendita - essendo in realtà indisponibile l’autovettura reclamizzata al momento del messaggio - poteva acquistare esclusivamente una versione diversa con motore a benzina prodotto in Cina dalla casa automobilistica ad un prezzo pari a 19.900 euro.
Sia il prezzo che l’oggetto della compravendita erano quindi diversi.
Nel gioco dello scaricabarile, la catena commerciale ha cercato di tirarsi fuori dando la colpa alla sola casa produttrice. La difesa puntava tutto, peraltro, sul fatto che il messaggio pubblicitario era comparso solo per due giorni sul giornale di Brescia e senza indicare le caratteristiche dei veicolo commercializzato.
Inutile coprirsi dietro ad un dito, distinguere tra produttore dell’auto e commerciante non si può: nel sodalizio scorretto entrambi i professionisti hanno commissionato la pubblicità del lancio della vettura.
Entrambi sono responsabili della veridicità ed attendibilità dei contenuti della stessa.
La campagna pubblicitaria era studiata, progettata ad un unico scopo: lanciare il prodotto a tutti i costi.
I giudici di Palazzo Spada a conferma della sentenza di primo grado, hanno ribadito che la pubblicità era in grado di orientare indebitamente le scelte economiche dei consumatori che, sulla base di informazioni false relative ad elementi essenziali della decisione di acquisto di un’autovettura, erano indotti a recarsi presso i punti vendita o ad entrate in contatto con il produttore.
Non importa la durata della pubblicità ingannevole, anche se occasionale era stata studiata per far abboccare i consumatori.
Luca Tosto
(23 luglio 2014)
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