MILANO
Canoni raddoppiati per la Galleria Vittorio Emanuele II: l'ok del Consiglio di Stato
È legittimo il raddoppio dei canoni di affitto per chi subentra nelle concessioni dei locali della location più ambita per lo shopping cittadino.
Il Comune di Milano di certo ne gioverà, considerando che i canoni gonfiati finiscono proprio nelle sue casse.
Lo ha stabilito la 5° sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 5480/2014 del 7 novembre, che ha definitivamente ritenuto legittima la delibera del 2012 approvata dal Comune di Milano con cui l'amministrazione aveva riscritto le linee guida per le cessioni dei contratti d'affitto in corso nella Galleria Vittorio Emanuele II, prevedendo il raddoppio dei canoni per chi subentra nei locali commerciali ed un preventivo giudizio di compatibilità rispetto ai nuovi brand che vogliono inserirsi nella Galleria.
Tutto ha un prezzo aveva detto Palazzo Marino nel 2012, dopo aver deciso di concedere i subentri con l’obiettivo di massimizzare i profitti, rivedendo le proprie scelte del 2007 che avevano categoricamente negato tale possibilità.
Dopo il ricorso della Viganò Alta Moda s.r.l., in primo grado il Tar Lombardia aveva bocciato le scelte del Comune che consentivano di fatto il subentro in corso di diverse griffe ai precedenti locatari prima della scadenza del contratto, e, quindi, senza una gara per la riassegnazione degli spazi.
Il Tar aveva ritenuto che la disciplina “da un lato svilisce per esigenze di cassa l’interesse della tutela della concorrenza e dall’altro fissa arbitrariamente un corrispettivo di concessione del tutto svincolato da analisi di mercato e dal risultato economico” che l’amministrazione potrebbe conseguire attraverso l’attivazione di una procedura a bando pubblico.
Oggi i giudici amministrativi chiariscono che la delibera della giunta del 2012 “prevede un meccanismo che ha tenuto conto non solo delle realtà del mercato e delle esigenze delle imprese, ma anche degli interessi pubblici, e in particolare dell’esigenza dell’amministrazione di ottenere anch’essa un vantaggio economico, in conseguenza dell’affare concluso dalle parti private”. Le nuove regole peraltro “non hanno né soppresso né limitato l’obbligo di indire periodicamente la gara per la scelta del concessionario”.
“Costituisce una regola di buona amministrazione, imposta dall’art. 97 della Costituzione, quella che induce l’Amministrazione pubblica a valorizzare i propri beni e a ricavare dai suoi utilizzatori il massimo importo percepibile, sulla base di procedimenti precostituiti e trasparenti”.
Ricordano tuttavia i giudici, con riferimento all’accordo tra le griffe ed al subentro in corso di concessione: “tale accordo può dunque avere effetti solo per il “periodo residuo”, ferma restando la data di scadenza della concessione originaria, avente la durata di dodici anni”.
Spetterà ora alle firme più prestigiose decidere se pagare un canone maggiore o accontentarsi, rispetto alla magnifica Galleria di Milano, di vendere in un luogo meno fastoso e rinomato.
Luca Tosto
(10 novembre 2014)
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