Controllo sui lavoratori
Impianto di videosorveglianza: le immagini sono off limits per il responsabile della disciplina
La sentenza del Consiglio di Stato sull'installazione delle telecamere in un ipermercato.
Un supermercato ubicato nel territorio di un Comune lombardo, che aveva installato un impianto di videosorveglianza regolarmente autorizzato nel luglio 2012 dalla Direzione territoriale del lavoro al fine di contrastare furti e taccheggi, subiva pochi mesi dopo la contestazione dai rappresentanti delle organizzazioni sindacali che proponevano ricorso gerarchico innanzi al Ministero del lavoro.
Tale ricorso veniva respinto in rapporto al posizionamento delle telecamere e accolto, invece, circa la “possibilità di consentire la visione in diretta delle immagini da parte del direttore del punto di vendita”. In particolare, il Ministero aveva stabilito che “la visione in differita delle riprese dovrà essere consentita a terzi autorizzati, ai rappresentanti della società, a dipendenti preventivamente individuati e autorizzati.
La visione immediata delle immagini dovrà essere consentita ai predetti soggetti, ad esclusione del direttore del punto di vendita o di altro soggetto, cui sia conferito potere gerarchico e disciplinare sui lavoratori. I nominativi delle persone autorizzate dovranno essere portati a conoscenza dei lavoratori”. La decisione veniva a sua volta criticata dalla proprietà dell’ipermercato, che la impugnava al TAR.
Con sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1815 in data 11 luglio 2013, il ricorso al riguardo proposto veniva accolto.
Avverso la sentenza di primo grado hanno proposto appello due associazioni sindacali: appello che è stato deciso, in senso difforme alla statuizione del TAR, dal Consiglio di Stato, Sezione Sesta, del 5 giugno 2015 n. 2773.
È realtà innegabile che con il mezzo della videosorveglianza si possano non solo contrastare i taccheggi e le rapine (in corrispondenza ad una effettiva “esigenza organizzativa e produttiva”, di cui parla l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori), ma anche, benchè non intenzionalmente, trattare dati personali.
La voce e l’immagine delle persone riprese non possono infatti non considerarsi informazioni riferite alle persone stesse, in base alla normativa sia nazionale (d.lgs. n. 196 del 2003, cit.) che comunitaria (Direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995; cfr. anche Corte giust. UE, IV, 11 dicembre 2014, causa C – 212/13, secondo cui l’art. 3, par. 2, secondo trattino, della direttiva 95/46/CE, sulla tutela delle persone fisiche riguardo al trattamento dei dati personali e alla libera circolazione di tali dati, va interpretato nel senso che l’utilizzo di un sistema di videocamera, che porta a una registrazione video delle persone immagazzinata in un dispositivo di registrazione continua quale un disco duro, installato da una persona fisica sulla sua abitazione familiare per proteggere i beni, la salute e la vita dei proprietari, e che sorveglia parimenti lo spazio pubblico, non costituisce un trattamento dei dati, effettuato per l’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico ai sensi di quella disposizione).
E’ in quest’ambito e per questi effetti che si impone l’esigenza di un controllo, che risulti rispettoso – come è nella ratio della norma, considerato il carattere generale del precetto di cui al primo comma dell’art. 4 citato – del divieto di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori.
La questione critica, dunque, scrutinata dal Consiglio di Stato, non è quella del posizionamento effettivo delle telecamere (senza il quale il fine di contrasto di taccheggi e rapine sarebbe indebitamente menomato), ma quello delle modalità della relativa utilizzazione, di essenziale rilievo al fine di rispettare il precetto generale dell’art. 4, primo comma, dello Statuto.
La circostanza di fatto che, per lecite finalità, il Direttore del punto vendita avesse costantemente, dal proprio ufficio, diretta visione di vaste aree della struttura commerciale, concretizzava però, oggettivamente, anche i presupposti della tipologia di controllo vietata dalla legge sull’attività del personale, anche oltre le intenzioni del dirigente (fermo restando – a riprova dell’impraticabilità della scelta, sostenuta dalla parte appellante – che il precluso utilizzo delle immagini registrate a fini disciplinari, ove dalle immagini in questione fossero emersi comportamenti indebiti dei lavoratori, avrebbe comunque comportato una violazione dei doveri del dirigente stesso).
Rodolfo Murra
(7 giugno 2015)
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