Pubblico impiego
Rientro anticipato dalla missione all'estero? Ma quale mobbing...
La singolare vicenda di un Commissario di Polizia finita davanti al TAR Lazio
Un sostituto Commissario della Polizia di Stato, quando rivestiva il grado di Ispettore Capo, con decreto del Capo della Polizia viene inviato in missione a Parigi per l’espletamento dell’incarico di Ufficiale di Collegamento italiano in materia di cooperazione internazionale di polizia presso la Polizia Giudiziaria francese, per la durata di due anni, a decorrere dal giugno 2007.
Detto incarico è stato prorogato via via sino alla fine di agosto del 2012. Poi al dipendente vengono comunicati sia la cessazione dell’incarico conferitogli sia il suo rientro definitivo in Italia.
Il provvedimento viene impugnato dinanzi al TAR del Lazio con ricorso col quale si deduce che, dal punto di vista motivazionale, l’atto risulterebbe del tutto privo di qualsiasi elemento di fatto o di diritto che consenta di capire le ragioni per le quali l’Amministrazione sia giunta a determinarsi nel senso di far cessare la missione a Parigi del ricorrente e di farlo rientrare in Italia, senza neppure indicare presso quale ufficio andare a prestare servizio, né con quale incarico.
Nell’impugnativa si aggiunge che la prassi sarebbe nel senso di rinnovare anche per 10-15 anni l’incarico di Ufficiale di Collegamento a coloro che bene si sono inseriti presso le Polizie straniere e che da queste sono apprezzati e che anche le nuove norme in adozione per il futuro prevedrebbero rinnovi biennali, con un limite di sei anni: periodo ancora non raggiunto dalla missione del ricorrente a Parigi.
La sottovalutazione, poi, degli elementi di ottimo rendimento indurrebbe a ritenere sussistente un grave vizio e dal quadro complessivo del comportamento tenuto dall’Amministrazione nei confronti del ricorrente sarebbe stato tale da poter configurare la violazione del principio di tutela psico-fisica del proprio dipendente di cui all’art. 2087 c.c. ed anche un’ipotesi di mobbing, posto che i fatti e gli atti contestati avrebbero provocato confusione e stress al ricorrente, con ripercussioni gravi sulla sua salute e ne avrebbero sconvolto l’organizzazione di vita personale e relazionale.
Infatti la tesi del poliziotto poggiava sull’elemento morale: l’interruzione dell’esperienza all’estero senza motivazioni plausibili – ed in contrasto con le assicurazioni verbali che nel tempo aveva avuto dai responsabili del Servizio in trasferta in Francia – sarebbe stata vissuta come vessatoria e penalizzante, con gravi conseguenze psicologiche.
Senza contare che per rispettare l’improvviso ordine di rientro, il ricorrente si sarebbe dovuto sobbarcare oneri rilevanti, non avendo potuto trovare nell’imminenza e nel periodo delle ferie d’agosto una ditta di traslochi internazionali disponibile ed avendo dovuto subire penalizzazioni economiche per non aver potuto dare le disdette dei vari contratti, che aveva dovuto porre in essere a Parigi.
Il TAR con sentenza della Sezione I ter n. 7313 del 20 maggio 2015 ha rigettato il ricorso. Infatti l’Amministrazione, nell’esercizio di un potere ampiamente discrezionale, ha semplicemente stabilito di dar luogo all’avvicendamento del sostituto Commissario con altro dipendente appartenente al medesimo Servizio – quello per la Cooperazione Internazionale di Polizia – e di ciò dà contezza nel provvedimento. Risulta, pertanto, per i giudici laziali, del tutto assolto l’onere motivazionale.
D’altra parte il Collegio ha osservato che il ricorrente era stato inviato in missione a Parigi per l’espletamento dell’incarico di Ufficiale di Collegamento italiano in materia di cooperazione internazionale di polizia presso la Polizia Giudiziaria francese per la durata di soli due anni e che invece lo stesso ha continuato a svolgere il suddetto incarico anche dopo la scadenza di tale biennio solo in forza di ripetute proroghe, senza che ciò potesse mai conferirgli alcun diritto a proseguirvi.
I giudici hanno ribadito che di regola un incarico termina quando viene a completarsi il periodo per il quale esso viene affidato, mentre sono le eventuali proroghe a dover recare un’articolata motivazione idonea a giustificarle.
Perciò, pur non potendo disconoscere i meriti che funzionario erano stati attribuiti durante lo svolgimento dell’incarico de quo, non per questo lo stesso poteva vantare una posizione di preminenza, meritevole di particolare tutela giuridica, tale da consentirgli di continuare ad espletare l’incarico stesso anche successivamente. Nessun valore in contrario, infine, può assumere l’invocata prassi secondo cui, normalmente, la durata dell’incarico sarebbe ben superiore.
Rodolfo Murra
(21 maggio 2015)
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