corte di Cassazione
Separazione: l'assegnazione della casa coniugale in caso di comodato d'uso gratuito
I principi sanciti dalla Suprema Corte nella sentenza del 9.2.2016 n. 2506.
La Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile nella sentenza del 9.2.2016 n. 2506 ha risolto la problematica sollevata dalla proprietaria di un immobile che aveva concesso quest'ultimo in comodato d'uso gratuito al figlio, censurando la sentenza della Corte d'appello che aveva ritenuto che l'immobile fosse stato concesso per soddisfare le esigenze di vita familiare e che, quindi il recesso del comodante, fosse impossibile in quanto trattandosi di contratto che non aveva un termine ne esplicito, ne implicito, la comodante poteva recedere ad nutum ex art. 1810 c.c.
In particolare, la Corte di Cassazione nella sentenza in esame ha ritenuto fondato il motivo, richiamando a tal fine la decisione delle Sezioni Unite che hanno stabilito che "il coniuge affidatario della prole minorenne, o maggiorenne non autosufficiente, assegnatario della casa familiare, può opporre al comodante, che chieda il rilascio dell'immobile, l'esistenza di un provvedimento di assegnazione, pronunciato in un giudizio di separazione o divorzio, solo se tra il comodante e almeno uno del coniugi (...) il contratto in precedenza insorto abbia contemplato la destinazione del bene a casa familiare. Ne consegue che, in tale evenienza, il rapporto, riconducibile al tipo regolato dagli artt. 1803 e 1809 cod. civ., sorge per un uso determinato ed ha - in assenza di una espressa indicazione della scadenza - una durata determinabile per relationem, con applicazione delle regole che disciplinano la destinazione della casa familiare, indipendentemente, dunque, dall'insorgere di una crisi coniugale, ed è destinato a persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari (...) che avevano legittimato l'assegnazione dell'immobile". (Sez. U, Sentenza n. 20448 del 29/09/2014, Rv. 633004).
La decisione appena ricordata ha distinto due tipi di comodato:
1. quello destinato a soddisfare stabili esigenze abitative familiari, destinato a protrarsi sinchØ perdurano le suddette esigenze, ai sensi dell'art. 1809 c.c.;
2. quello senza fissazione di termine, nemmeno implicito, ovvero non destinato a soddisfare stabili esigenze abitative della famiglia, soggetto invece all'art. 1810 c.c., e quindi a risolversi ad nutum del comodante.
Nel caso di specie, la Corte d'appello ha accertato in fatto che l'appartamento - secondo quanto riferito dai testimoni - fu concesso in comodato "per il tempo necessario a trovare un altro alloggio" e dunque non per soddisfare stabilmente le esigenze di vita familiare. Dunque la Corte d'appello è incorsa in un tipico errore di sussunzione, applicando l'art. 1809 c.c. (che disciplina il comodato con termine implicito) ad una fattispecie cui doveva invece applicarsi l'art. 1810 c.c. (comodato senza fissazione di termine).
In conclusione, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso con con rinvio alla Corte d'appello, affinché, applicato al caso di specie l'art. 1810 c.c., si pronunci sulla sussistenza o meno d'un valido recesso, e pronunci le conseguenti statuizioni.
Fonte: Corte di Cassazione
Enrico Michetti
La Direzione
(21 febbraio 2016)
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