Sanzioni disciplinari
Cassazione: Quel licenziamento non s'ha da fare!
Il caso di un dipendente comunale licenziato per due giorni di assenza non giustificata. La proporzionalità nella sentenza n. 17355 del 25 agosto 2016.
Un dipendente di un Comune calabrese veniva licenziato dal proprio Ente perché, a seguito di un breve periodo di malattia, aveva omesso di giustificare (al termine di efficacia, cioè, del primo certificato medico trasmesso) la prosecuzione dell’assenza, sempre per ragioni di malattia. Posto che per due giorni la sua assenza dal servizio risultava, appunto, scoperta, l’Amministrativa adottava nei suoi confronti la massima sanzione disciplinare.
Il Tribunale adito dal dipendente rigettava il suo ricorso, ma la Corte di appello di Catanzaro, in riforma della statuizione di primo grado, accoglieva l’appello (ritenendo non sussistere una assenza ingiustificata) disponendo la reintegrazione in ruolo del lavoratore.
A questo punto a ricorrere è stato il Comune, che adiva la Suprema Corte.
Quest’ultima, ha premesso che deve escludersi la configurabilità in astratto di qualsivoglia automatismo nell'irrogazione di sanzioni disciplinari, specie laddove queste consistano nella massima sanzione, permanendo il sindacato giurisdizionale sulla proporzionalità della sanzione rispetto al fatto addebitato.
La proporzionalità della sanzione disciplinare rispetto ai fatti commessi è, infatti, regola valida per tutto il diritto punitivo (sanzioni penali, amministrative ex L. n.689 dei 1981, ecc.), e risulta trasfusa per l'illecito disciplinare nell'art. 2106 c.c., con conseguente possibilità per il giudice di annullamento della sanzione "eccessiva", proprio per il divieto di automatismi sanzionatori, non essendo, in definitiva, possibile introdurre, con legge o con contratto, sanzioni disciplinari automaticamente conseguenziali ad illeciti disciplinari.
I giudici di Piazza Cavour hanno poi affermato che l'art 2119 c.c. configura una norma elastica, in quanto costituisce una disposizione di contenuto precettivo ampio e polivalente destinato ad essere progressivamente precisato, nell'estrinsecarsi della funzione nomofilattica della Corte di cassazione, fino alla formazione del diritto vivente mediante puntualizzazioni, di carattere generale ed astratto, precisando che l'operazione valutativa, compiuta dal giudice di merito nell'applicare clausole generali come quella dell'art. 2119 c.c., non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità, poiché l'operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi desumibili dall'ordinamento.
Tutto ciò premesso la Corte ha rilevato che nella specie, seppur erroneamente escludendo la "ingiustificatezza" della assenza (ragione per la quale la motivazione della sentenza di secondo grado è stata corretta), la Corte territoriale ha adeguatamente motivato circa la insussistenza nel caso esaminato di tale proporzionalità ed ha escluso che la sanzione risolutiva fosse proporzionata agli addebiti, avendo considerato che il ritardo nella comunicazione della malattia si era protratto per due soli giorni (le giornate del cadevano, rispettivamente, di sabato e di domenica), che la malattia era risultata effettivamente sussistente in sede di visita di controllo e che le condizioni di salute del dipendente, invalido al 100%, erano gravissime (patologia oncologica con disturbi minzionali) e certamente incidenti sulla stessa percezione dei propri doveri.
In sostanza, con la sentenza qui commentata (n. 17355 del 25 agosto 2016) si è ribadito che quel licenziamento non si poteva disporre.
Rodolfo Murra
(1 settembre 2016)
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