CONSIGLIO DI STATO
Contributo ai collaboratori di giustizia e scissione del nucleo familiare
L'invarianza della spesa non è sindacabile se correttamente motivata.
Nel 2013 un cittadino era stato inserito nel programma di protezione del padre, in quanto collaboratore di giustizia e figlio del titolare del programma.
Con istanza inoltrata nel settembre 2015 detto cittadino, all’epoca detenuto, aveva chiesto l’assegnazione di un autonomo domicilio nel caso in cui gli fosse stata concessa la misura degli arresti domiciliari; era dunque richiesta la scissione del nucleo familiare e la concessione di un’abitazione sita nella medesima Regione ove erano stati collocati i suoi familiari, nonché l’attribuzione di un autonomo assegno di mantenimento. Mentre la Procura di Napoli ha emesso parere favorevole all’accoglimento della richiesta, la Direzione Nazionale Antimafia ha reso parere negativo per insussistenza dei presupposti, essendo la richiesta fondata esclusivamente su motivi personali e comportando per lo Stato un ingiustificato aggravio economico.
Avverso il rigetto dell’istanza opposto dalla Commissione Centrale (di cui alla L. n. 82 del 1981) l’interessato ha proposto ricorso al Tar Lazio che, dopo aver, con ordinanza emessa nella fase cautelare, ordinato alla Commissione il riesame, con sentenza ha dichiarato improcedibile l’atto introduttivo del giudizio ma ha accolto i motivi aggiunti (sull'incremento del contributo), sul rilievo che l’applicazione dell'imposto criterio dell’invarianza di spesa alle misure di assistenza economica appariva non solo irragionevole, ma anche violativo del disposto normativo di cui all’art. 13, commi 5 e 6, L. 15 marzo 1991 n. 82, in quanto non consentiva al soggetto autorizzato di usufruire delle misure di assistenza economica che garantiscano, ai sensi di dette norme, quanto meno le primarie esigenze di vita (misure, nella specie, ridotte ad un assegno mensile pari a soli € 250).
Avverso tale sentenza il Ministero dell’interno ha proposto appello, deducendo l’erroneità della decisione perché interveniva su un provvedimento discrezionale, correttamente motivato, ritenendo che le misure di assistenza economica siano un diritto per colui che venga autorizzato a vivere separatamente dall’originario nucleo familiare e che il giudizio sull’imposizione dell’invarianza di spesa non fosse sindacabile.
L’appello del Ministero è stato ritenuto fondato ed accolto con sentenza della III Sezione n. 6719 del 27 novembre 2018.
La richiesta del cittadino, di essere scisso dal nucleo familiare del padre, destinatario del programma di protezione, era motivata dal bisogno di avere “spazi di una propria autonomia anche al fine di avere la possibilità, in un prossimo futuro, di rifarsi una vita e una propria famiglia”, tenendo conto del fatto che l’abitazione della madre (presso la quale alloggiava, ai tempi della formulazione dell’istanza, quando usciva per permessi premio dal carcere dove allora era recluso), sita in località protetta, era piuttosto piccola per poter ospitare, oltre ai due fratelli e alla sorella, anche lui, ed era così “costretto ad adattarsi”.
In diritto, va rilevato che l’art. 9, del testo di legge (D.L. n. 8 del 1991) che disciplina la materia de qua, ha precisato che le speciali misure di protezione possono essere applicate anche a coloro che convivono stabilmente con il collaboratore ammesso al programma nonché, in presenza di specifiche situazioni, anche a coloro che risultino esposti a grave, attuale e concreto pericolo a causa delle relazioni intrattenute con le medesime persone. Il solo rapporto di parentela, affinità o coniugio non determina, in difetto di stabile coabitazione, l'applicazione delle misure.
Evidente è, dunque, l’intento del Legislatore non solo di non configurare un diritto del “convivente” del titolare della protezione all’estensione della stessa, ma anche di escludere che il solo rapporto di parentela, affinità o coniugio determini, ove manchi la stabile coabitazione, l'applicazione delle misure.
Ha aggiunto il comma 6 del successivo art. 13 (dello stesso D.L. n. 8/91) che “l'assegno di mantenimento può essere integrato dalla commissione con provvedimento motivato solo quando ricorrono particolari circostanze influenti sulle esigenze di mantenimento in stretta connessione con quelle di tutela del soggetto sottoposto al programma di protezione, eventualmente sentiti l’aAtorità che ha formulato la proposta, il procuratore nazionale antimafia o i procuratori generali interessati a norma dell'articolo 11”.
Anche il Regolamento sulle speciali misure di protezione previste per i collaboratori di giustizia, approvato con D.M. 23 aprile 2004 n. 161, che all’art. 10 disciplina i casi in cui è possibile modificare le speciali misure di protezione, non introduce alcun diritto dei familiari del soggetto ammesso al programma ad ottenere un autonomo assegno per specifiche e personali esigenze di vita.
Data questa premessa, consegue che spetta alla Commissione centrale valutare se sussistono valide ragioni per autorizzare la scissione dal nucleo originario e se tali ragioni sono tanto forti da consentire il riconoscimento di un contributo autonomo.
Non è allora previsto, in capo ai soggetti ammessi al programma di protezione, alcun diritto ad un assegno autonomo, costituendo tanto l’assegnazione dello stesso quanto - e a maggior ragione - la sua integrazione solo una possibilità in presenza di circostanze strettamente connesse con le esigenze di tutela.
Nella specie la Commissione, nella sua discrezionalità – sindacabile solo se manifestamente irragionevole – ha ritenuto che potesse acconsentirsi alla scissione del nucleo in considerazione delle valutazioni clinico-psicologiche, svolte dal Servizio Centrale di Protezione, che hanno evidenziato una situazione conflittuale con gli altri componenti il nucleo familiare e di particolare disagio dell’istante; ha però giudicato tali ragioni non tali da riconoscergli anche misure di assistenza autonoma, bensì solo una quota parte del mantenimento riconosciuto al nucleo facente capo al titolare della protezione, né l’accollo delle spese per il canone di locazione, che restano riconosciute nella misura originariamente acconsentita.
La Commissione ha dunque trovato un equo bilanciamento tra l’interesse del richiedente a vivere separatamente dalla madre e dai fratelli, godendo del programma di protezione accordato al padre, e quello pubblico a non incrementare la spesa per soddisfare l’interesse del singolo, non dettato da esigenze di tutela.
Si tratta di conclusione non manifestamente irragionevole, e dunque insindacabile dal Giudice amministrativo.
Rodolfo Murra
(4 dicembre 2018)
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