CORTE DI CASSAZIONE
Distanze tra edifici fronteggianti separati da strada pubblica
Sulla normativa da applicare la Corte si destreggia tra l'art. 879, secondo comma, del Codice civile, il D.M. n. 1444 del 1968 ed il Regolamento comunale.
Due cittadini siciliani, proprietari di un manufatto nel centro abitato, agivano per ottenere la demolizione di un fabbricato prospiciente, che assumevano essere stato edificato in violazione della distanza di 10 metri rispetto alla frontistante parete finestrata del loro edificio degli attori.
Il locale Tribunale respingeva la domanda in base all'art. 879, 2 comma, del Codice civile, in forza del quale "alle costruzioni che si fanno in confine con le piazze e le vie pubbliche non si applicano le norme relative alle distanze", e tali erano sia l'una che l'altra delle costruzioni fronteggiantesi, le quali risultavano per tutta la loro estensione frontale separate da un piccolo vicolo, iscritto nell'elenco delle pubbliche vie comunali. Avverso detta sentenza proponevano appello i soccombenti, invocando l’applicazione delle leggi e dei regolamenti ai quali faceva riferimento la seconda parte del citato comma (e che si identificavano nell'art. 57 del Regolamento Edilizio del Comune e nell'art. 9 del D.M. n. 1444/1968), che prevedevano l'inderogabile distanza minima e assoluta di metri 10 tra pareti finestrate degli edifici frontistanti, a prescindere dall'eventuale esistenza di una via pubblica (che peraltro gli appellanti escludevano).
Con sentenza depositata il 30 ottobre 2013, la Corte d'Appello di Messina accoglieva l'appello principale e condannava gli appellati ad arretrare il loro fabbricato, nella parte frontistante il fabbricato degli appellanti, sino alla distanza di metri 10 dall'antistante parete finestrata del fabbricato degli appellanti medesimi.
Avverso la pronuncia d’appello è stato proposto ricorso per cassazione sulla base di articolati motivi.
L'art. 879, secondo comma, del Codice civile prevede che alle costruzioni che si fanno in confine con le piazze e le vie pubbliche non si applicano le norme relative alle distanze, ma devono osservarsi le leggi e i regolamenti che le riguardano. La sentenza impugnata ha affermato, con valutazione non censurabile (né specificamente censurata con l’appello), che l'area sulla quale v’era il fabbricato dei ricorrenti andasse classificata come "via pubblica", alla stregua della presunzione di demanialità ex art. 22, all. F, L. n. 2248/1865, rimasta insuperata in giudizio.
Tuttavia, nonostante tale qualificazione - che condurrebbe ad escludere l'applicazione della disciplina relativa alle distanze, in base a quanto disposto dalla prima parte del secondo comma dell'art. 879 Cod. civ. (per il quale, come detto, "alle costruzioni che si fanno in confine con le piazze e le vie pubbliche non si applicano le norme relative alle distanze") - la Corte di merito è giunta a ritenere applicabile la disciplina del D.M. n. 1444/1968 e, con essa, la previsione delle distanze, attraverso il tramite del Regolamento edilizio locale, pervenendo a tale conclusione attraverso il richiamo generale che il menzionato secondo comma dell'art. 879 fa alla regola dell'osservanza, comunque, "delle leggi e dei regolamenti che le riguardano" (tra cui, appunto, quelle del D.M. n. 1444/1968). Con ciò - data una siffatta interpretazione del secondo comma dell'art. 879 - la regolazione delle distanze relativamente all'area pubblica non sarebbe a sua volta impedita nella fattispecie dal testo dell'art. 9 del citato D.M. n. 1444/1968 che stabilisce le distanze minime tra fabbricati, anche per quelli "tra i quali siano interposte strade destinate al traffico di veicoli", ma "con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti". Sicché, secondo la pronuncia di secondo grado, l'eccezione relativa alla viabilità a fondo cieco, nella specie al "vicolo", non significherebbe che le distanze tra fabbricati indicate nel citato D.M. non trovino applicazione in dette aree chiuse, bensì soltanto che non avrebbero applicazione le maggiorazioni delle distanze, poste dall'art. 9 in rapporto proporzionale con la larghezza della strada destinata al traffico veicolare, ma resterebbe pur sempre applicabile la regolazione generale della distanza minima di metri 10.
La Corte di cassazione (con ordinanza della Sezione II, n. 27364 del 29 ottobre 2018) non ha ritenuto che le argomentazioni, poste dalla Corte di merito a sostegno della sentenza impugnata, fossero condivisibili. Ciò, in primo luogo, in ragione del recupero della regolazione delle distanze tramite l’enfatizzazione della formula generale dell'ultima parte del secondo comma dell'art. 879 del Codice con la conseguenza che, alla stregua di questa interpretazione (contrastante con gli ordinari canoni di logica ermeneutica e, dunque, con l'art. 12 delle preleggi), si verifica un effetto palesemente distorto, per cui la medesima disposizione finisce contemporaneamente per negare (comma secondo, prima parte) e per affermare (comma secondo parte seconda) l'applicabilità delle norme sulle distanze. Laddove, si deve affermare che la parte prescrittiva che rinvia alle "leggi e regolamenti" intenda piuttosto riferirsi alla disciplina (riguardante non già le "distanze" bensì i "fabbricati") che non interferisce con la tutela del Codice civile, inoperante, quanto alle distanze, rispetto alle pubbliche strade e piazze.
In merito, i giudici di Piazza Cavour hanno richiamato il principio secondo cui l'esonero dal rispetto delle distanze legali previsto dall'art. 879, comma 2, per le costruzioni a confine con le piazze e vie pubbliche (che va riferito anche alle costruzioni a confine delle strade di proprietà privata gravate da servitù pubbliche di passaggio, come nella specie, giacché il carattere pubblico della strada, rilevante ai fini dell'applicazione della norma citata) attiene più che alla proprietà del bene, all'uso concreto di esso da parte della collettività.
Sicché - tale essendo la medesima esigenza di provvedere all'interesse pubblico all'assetto viario ed alla circolazione urbana che se ne serve - non si ravvisa la ratio sottesa alla diversa disciplina nella stessa materia concernente le distanze, nell'un caso derogandone la imposizione, nel secondo caso estendendone l'imposizione. Il quale effetto si verifica altresì in quanto l’esclusione della viabilità a fondo cieco, presente nell'art. 9 D.M. n. 1444/1968, viene confinata alle sole maggiorazioni delle distanze tra fabbricati che sono poste nello stesso articolo, giacché tale interpretazione riduttiva (al di là della sua collocazione contestuale riferita alle "maggiorazioni") finisce per determinare, nuovamente, causa di frizione logica, nel predicare allo stesso tempo un esonero ed una applicazione di una regola di distanza, che possono elidersi reciprocamente.
Rodolfo Murra
(7 novembre 2018)
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