CONSIGLIO DI STATO
Tesserino marcatempo: è legittimo imporlo anche agli Avvocati pubblici?
Si discute se la modalità di verifica della presenza in servizio leda il decoro e la dignità degli avvocati-dipendenti.
Alcuni avvocati dipendenti (con qualifica dirigenziale) di una Azienda sanitaria locale campana hanno impugnato davanti al T.A.R. la decisione, assunta dal Direttore della Funzione Gestione del Personale, con la quale obbligava anche costoro a far utilizzo del tesserino magnetico, assumendo il loro obbligo di marcatura, attestante la presenza in servizio, pena l’adozione di misure disciplinari.
Il TAR respingeva il ricorso, motivando la pronuncia con l’assenza di indebita ingerenza nell’esercizio della professione forense (che secondo i ricorrenti il provvedimento gravato determinava), e la sentenza relativa veniva fatta oggetto di appello da parte di alcuni di loro.
Il Consiglio di Stato, III Sezione, con sentenza n. 5538 del 26 settembre 2018, respingeva l’appello premettendo, innanzitutto, che l’oggetto della controversia atteneva in via principale alla compatibilità del meccanismo di rilevazione automatica delle presenze, attuato mediante l’uso del c.d. badge, con le caratteristiche di indipendenza ed autonomia professionali qualificanti la posizione dei Dirigenti-Avvocati degli Enti pubblici.
Il Collegio ha osservato, su un piano generale, che l’autonomia e l’indipendenza qualificanti l’esercizio di una determinata attività lavorativa possono assumere – e concretamente assumono – contenuti e modalità di estrinsecazione diverse, in relazione alla tipologia di prestazione che viene in rilievo ed alla connessa esigenza, avvertita e tutelata dall’Ordinamento, di evitare che le stesse risultino compromesse da scelte organizzative con esse confliggenti, promananti dall’Amministrazione di appartenenza.
In particolare, con riguardo alla posizione dei c.d. avvocati pubblici, ovvero quelli che sono incardinati organizzativamente presso un determinato Ente pubblico ed ai quali è affidato lo ius postulandi nell’interesse dello stesso, il Supremo Consesso ha osservato che le loro prerogative di indipendenza ed autonomia, proprio perché affidatari dell’interesse di una parte, attengono essenzialmente al “modo” in cui perseguire quell’interesse, ovvero alle scelte difensive da mettere in pratica per la sua migliore tutela, con la conseguenza che non rischiano di essere pregiudicate, anche nella percezione ab externo, da forme di controllo, circa le modalità anche temporali di svolgimento della loro prestazione, che con quelle scelte non siano, direttamente o indirettamente, interferenti.
Non può escludersi, tuttavia, che determinate forme di controllo, pur rivolte in via diretta a verificare le modalità temporali di assolvimento della prestazione professionale dell’avvocato pubblico, quindi attinenti agli aspetti “estrinseci” della stessa, si rivelino oggettivamente idonee ad intaccare il “nucleo essenziale” dei requisiti di indipendenza ed autonomia della sua attività lavorativa: si pensi, con riguardo al meccanismo oggetto di controversia, all’ipotesi in cui l’autorizzazione all’uscita dalla sede di servizio, per recarsi presso un ufficio giudiziario, debba essere rilasciata da un Settore dell’Amministrazione diverso da quello di inquadramento dell’avvocato.
Tale evenienza, tuttavia, secondo i giudici di Palazzo Spada non si può verificare nella specie, atteso che, secondo il regolamento vigente nella ASL resistente, relativo alla disciplina di utilizzazione del badge, l’autorizzazione a recarsi presso le sedi giudiziarie deve essere comunque richiesta allo stesso Dirigente Responsabile dell’Avvocatura.
Deve darsi atto, comunque, che in precedenza alcuni Giudici amministrativi si erano espressi, sulla stessa tematica, in senso favorevole agli avvocati pubblici, ritenendo che una siffatta modalità di controllo della presenza in servizio mortificasse il decoro e la dignità dei professionisti (ancorché dipendenti).
Mattia Murra
(2 ottobre 2018)
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