CONSIGLIO DI STATO
Il diritto del magistrato all'indennità di missione in caso di trasferimento di sede
La sentenza sul requisito del consenso dell'interessato al trasferimento.
Un magistrato ordinario già in servizio presso il Tribunale di Monza, rappresentava di essere stato assegnato al Tribunale di Novara con funzioni di Presidente, assunte a decorrere dal 21 settembre 1996 e nel 2001 chiedeva all’Amministrazione di appartenenza la corresponsione dell’indennità di missione di cui all’art. 6 della L. 19 febbraio 1981 n. 27, da essa mai percepita.
Il Ministero della Giustizia respingeva tuttavia la domanda sul rilievo che l’art. 24 della L. 17 maggio 1999 n. 144 aveva vietato a tutte le Amministrazioni “di adottare provvedimenti per l’estensione delle decisioni giurisdizionali (favorevoli sul riconoscimento del diritto vantato) salvo che l’interessato rivesta la posizione di ricorrente o resistente in grado di appello”, nel caso non ricoperta dalla ricorrente medesima.
L’interessato quindi chiedeva al TAR di accertare il proprio diritto alla percezione della suddetta indennità, in quanto spettante, come pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza, a tutti i magistrati trasferiti, a prescindere dall’avvenuta espressione del consenso.
Nella resistenza del Ministero della Giustizia, il TAR accoglieva il ricorso ma l’Amministrazione appellava la sentenza, ribadendo la tesi sostenuta nel provvedimento amministrativo gravato, secondo la quale la nozione di trasferimento d'ufficio è stata costantemente intesa dalla giurisprudenza amministrativa in modo estensivo, vale a dire che ai fini del mutamento di sede la domanda, la disponibilità o il consenso comunque manifestato dai magistrati per il cambiamento della località sede di servizio è da considerare, ai fini del riconoscimento del beneficio economico previsto dalla citata disposizione, come domanda di trasferimento di sede.
Con sentenza n. 3128 del 14 maggio 2019 il Consiglio di Stato, Sez. IV, ha accolto l’appello, ripercorrendo inizialmente il quadro normativo di riferimento, profondamente mutato nel corso degli anni.
L’art. 1 della L. n. 1039 del 1950 introdusse una indennità continuativa di missione in favore dei magistrati ordinari promossi alle funzioni direttive superiori (allora “grado terzo”).
Nel prosieguo, l’art. 13 comma secondo della L. n. 97 del 1979 e successive modifiche estese a tutti i magistrati ordinari trasferiti d’ufficio detto beneficio (spettante anche ai magistrati amministrativi e contabili in virtù del rinvio allo status economico dei primi contenuto negli ordinamenti di settore).
Come è noto, la nozione di trasferimento “d’ufficio” - espressamente richiamata dall’art. 13 della citata L. n. 97 del 1979 - è stata ricostruita dalla giurisprudenza amministrativa in modo estensivo.
Alla stregua di tale orientamento, il criterio per qualificare come officioso il trasferimento di un magistrato consisteva nell’individuare la prevalenza dell'interesse pubblico su quello privato, prevalenza che andava ravvisata in tutte le ipotesi di conferimento di funzioni diverse da quelle in atto rivestite.
Coordinando il dato normativo con il richiamato indirizzo giurisprudenziale, si concluse, da un lato, che l’indennità spettasse al magistrato ogniqualvolta venisse trasferito d’ufficio; dall’altro, nel senso che il trasferimento era da considerarsi d’ufficio, anche se disposto a domanda dell’interessato, ove comportasse l’assegnazione a funzioni superiori.
Il quadro di riferimento normativo è tuttavia radicalmente mutato per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 1 comma 209 della L. 23 dicembre 2005 n. 266 (finanziaria 2006), il quale ha disposto che “L'articolo 13 della legge 2 aprile 1979 n. 97, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che ai fini del mutamento di sede la domanda o la disponibilità o il consenso comunque manifestato dai magistrati per il cambiamento della località sede di servizio è da considerare, ai fini del riconoscimento del beneficio economico previsto dalla citata disposizione, come domanda di trasferimento di sede”.
Tale norma, secondo l’ormai costante giurisprudenza, stante la sua natura interpretativa, ha efficacia retroattiva e, pertanto, si applica anche ai trasferimenti disposti, come nel caso in esame, prima dell’entrata in vigore della norma stessa.
Né può sostenersi che la norma, calandosi su un diverso e consolidato orientamento giurisprudenziale, abbia in realtà natura innovativa. Infatti, il carattere di interpretazione autentica di una legge non presuppone indispensabilmente una preesistente situazione di incertezza o di conflitti interpretativi; è infatti sufficiente che la legge interpretativa imponga una fra le possibili opzioni ermeneutiche, stabilisca cioè un significato che ragionevolmente poteva essere ascritto alla legge anteriore.
Rodolfo Murra
(14 maggio 2019)
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