Processo amministrativo
Motivazione dei provvedimenti della P.A.: i soliti dubbi sull'integrazione in giudizio
La sentenza del Consiglio di Stato sull'orientamento non pacifico che consente l'integrazione postuma se gli esiti del procedimento non avrebbero comunque potuto essere diversi.
Il proprietario di un cinema in disuso chiede ad un’Amministrazione comunale toscana il permesso per trasformare in supermercato il locale. La Soprintendenza per la tutela dei valori paesaggistici, che deve intervenire perché l’immobile è sottoposto a vincolo, rende il proprio parere negativo. Impugna il privato dinanzi al TAR deducendo un vizio procedimentale: era stato infatti omesso l’invio del c.d. preavviso di rigetto. Il TAR accoglie il ricorso condividendo la necessità del preavviso e rilevando altresì la debolezza della motivazione resa, nel merito, dalla Soprintendenza. Appella allora il Ministero per i beni culturali invocando l’art. 21 octies della L. n. 241 del 1990, ma senza censurare quella parte della motivazione della decisione che aveva tacciato il provvedimento statale di difetto motivazionale.
La Sesta sezione del Consiglio di Stato, con sentenza del 9 aprile, n. 1794 non si è lasciata convincere dal tentativo della difesa erariale di “raddrizzare” in corso di causa la debolezza dell’appello attraverso una postuma ricostruzione delle motivazioni che avrebbero dovuto assistere il provvedimento della Soprintendenza sin dall’origine. Dall’esame dell’atto di appello, hanno osservato i giudici, sembra che il Ministero “intenda nella presente sede rappresentare ora per allora le pretese ragioni ostative all’autorizzabilità degli interventi (attraverso un’integrazione postuma della motivazione), in tal modo sanando sia i vizi di ordine procedimentale, sia il rilevato difetto motivazionale”.
Secondo i Giudici di Palazzo Spada seppur è vero che l’approccio operato dalla difesa statale ben può invero risultare compatibile con l’orientamento (peraltro non pacifico) secondo il quale l’inammissibilità dell’integrazione postuma della motivazione di un provvedimento amministrativo in giudizio trova un limite, alla luce del disposto dell’articolo 21 octies della L. n. 241/1990, nei casi in cui gli esiti del procedimento non avrebbero comunque potuto essere diversi nonché nell'esigenza di economicità dell'azione amministrativa, cosicché il vizio di motivazione viene correttamente dequotato ogniqualvolta l’integrazione non abbia leso il diritto di difesa dell'interessato, per essere state in fase endoprocedimentale pienamente percepibili le ragioni sottese all'emissione del provvedimento impugnato (in tal senso cfr. Cons. Stato, IV, 7 luglio 2014, n. 3417; id., IV, 4 marzo 2014, n. 1018; id., V, 20 agosto 2013, n. 4194).
Tuttavia, precisa il Collegio, anche a voler prestare adesione a tale orientamento (il quale sembra consentire all’Amministrazione, pure a fronte di attività discrezionali, di offrire integrazioni postume della motivazione nella sede contenziosa), secondo i magistrati di Piazza Capo di Ferro il punto è che le ragioni di diniego esplicitate in sede di appello dalla Soprintendenza risultavano a loro volta affette dai profili di incongruità e carenza motivazionale che erano stati già rilevati dai primi Giudici in relazione all’originario provvedimento di diniego.
Chiaramente l’accoglimento dell’appello potrebbe risultare una vittoria simbolica per il privato, atteso che la Soprintendenza è oggi chiamata a pronunciarsi di nuovo sull’istanza di mutamento di destinazione d’uso, ben potendo pervenire allo stesso risultato negativo ma fornendo, però adeguata ed idonea motivazione del proprio convincimento.
Rodolfo Murra
(11 aprile 2015)
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