Corte di Cassazione
Il Sindaco è responsabile anche penalmente dell'incolumità pubblica
Risponde di omicidio colposo il Sindaco che abbia omesso di adottare un'ordinanza o comunque qualsivoglia altro atto e/o comportamento impeditivo dell'evento dannoso.
La Corte di Cassazione, con la sentenza della quarta Sezione del 4.11.2015, n. 46400, delinea la responsabilità penale – nel caso di specie per omicidio colposo – per incidenti avvenuti durante l’esecuzione di lavori edili, in carenza di idonee misure in grado di preservare la sicurezza della circolazione e l’integrità delle persone.
Secondo la Suprema Corte, innanzitutto vi è la responsabilità dell’appaltatore dei lavori; in particolare incorrono nel reato di omicidio colposo gli amministratori dell’impresa di lavori che non si sono curati di predisporre idonee transenne ostative alla circolazione o un idoneo servizio di segnalazione del pericolo anche a mezzo di lavoratori incaricati.
Vi è poi anche la responsabilità del committente, ma solo nell’ipotesi, esclusa nella fattispecie concreta, in cui il committente si sia ingerito nella esecuzione dei lavori (In tema di infortuni sul lavoro, nel caso in cui i lavori siano stati affidati in appalto, risponde a garanzia della prevenzione infortunistica anche il committente il quale si ingerisca nell'organizzazione del lavoro, così partecipando all'obbligo di controllare la sicurezza del cantiere"; così Cass. pen. Sez. IV, n. 46383 del 6.11.2007) " mediante una condotta che abbia determinato o concorso a determinare l'inosservanza di norme di legge, regolamento o prudenziali poste a tutela degli addetti, esplicando così un effetto sinergico nella produzione dell'evento di danno" (Cass. pen. Sez. IV, n. 3516 del 14.12.2000) o l’evento possa ritenersi “causalmente collegato ad un'omissione colposa, specificamente determinata, imputabile alla sfera di controllo dello stesso committente (Cass. pen. Sez. IV, n. 6784 del 23.1.2014, Rv. 259286).
A questa due tipiche responsabilità si può “aggiungere” anche quella del Sindaco, individuata, nella fattispecie, nella circostanza di non aver adottato, nella consapevolezza dei lavori e della situazione di potenziale pericolo, - circostanziata anche da esposti/denunce in tal senso – idonee misure di sicurezza adottando un’ordinanza contingibile e urgente ex art. 54 TUEL o attraverso qualsiasi altro atto amministrativo o comportamentale idoneo a prevenire il pericolo per la pubblica incolumità e gli infortuni sul lavoro.
Secondo la Cassazione penale, ai sensi dell'art 54 d.lgs. 18.8.2000 n.267, (nel testo vigente pro tempore) (Attribuzioni del Sindaco nei servizi di competenza statale), il Sindaco, quale ufficiale del Governo "adotta, con atto motivato e nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini; per l'esecuzione dei relativi ordini può richiedere al prefetto, ove occorra, anche l'assistenza della forza pubblica" (non si parlava di "sicurezza urbana", introdotta nel 2008).
Ne consegue che nel potere del Sindaco non sono più ravvisabili le limitazioni per materia (sanità, etc) già previste dal testo unico del 1915 e dalla legge n. 142 del 1990; egli invece, deve adottare (prendendosene in carico tutta la responsabilità civile e penale senza possibilità - se non parziale - di trasferirla su altri soggetti), i provvedimenti contingibili e urgenti necessari a tutelare l'incolumità dei cittadini.
E’ questa una sua precipua attribuzione.
In questo senso, il Sindaco risponde di omicidio colposo, collegato al delitto di omissione di atti d’ufficio. Quest’ultimo infatti è un reato di pericolo la cui previsione sanziona il rifiuto non già di un atto urgente, bensì di un atto dovuto che deve essere compiuto senza ritardo, ossia con tempestività, in modo da conseguire gli effetti che gli sono propri in relazione al bene oggetto di tutela.
Quanto alla configurabilità dell’elemento psicologico del delitto in parola – continua la Corte - è necessario ma sufficiente che il pubblico ufficiale abbia consapevolezza del proprio contegno omissivo, dovendo egli rappresentarsi e volere la realizzazione di un evento "contra ius", senza che il diniego di adempimento trovi alcuna plausibile giustificazione alla stregua delle norme che disciplinano il dovere di azione.
Nella fattispecie al suo esame, la Corte precisa che il rifiuto di un atto d'ufficio si verifica non solo a fronte di una richiesta o di un ordine, ma anche quando sussista un'urgenza sostanziale, impositiva del compimento dell'atto, in modo tale che l'inerzia del pubblico ufficiale assuma, per l'appunto, la valenza del consapevole rifiuto dell'atto medesimo (nel caso di specie, sebbene il Sindaco non fosse stato investito da formale richiesta d'intervento in relazione ai lavori posti in essere dalla ditta appaltatrice, risultava dagli atti processuali e dalle prove raccolte che egli non poteva non essere consapevole della situazione di effettivo e concreto pericolo per la pubblica incolumità pedonale e veicolare in cui versava l'attività posta in essere dalla medesima ditta).
La Corte si sofferma anche sulla portata di dette ordinanze, facendo presente che, nelle ordinanze contingibili ed urgenti rientra una tipologia di provvedimenti amministrativi aventi un contenuto non previamente determinabile e quindi di atti del tutto atipici ed eccezionali che presuppongono una situazione di estrema gravità dipendente dai fattori più disparati i quali non possono ricondursi solo a fenomeni di dimensioni bibliche (quali terremoti, frane, valanghe, inondazioni, etc), bensì anche ad eventi più modesti, ma comunque idonei a porre in pericolo l'incolumità di un numero indeterminato di persone.
Né può ritenersi che l'adozione di tali ordinanze presupponga formule o formalità o procedure sacramentali proprio a cagione dell'estrema urgenza che le impone, contando ai fini della legittimità dell'atto precipuamente l'effettiva esistenza di una situazione di pericolo imminente al momento di adozione dell'ordinanza (CdS, n. 125 del 4.2.1998).
Invero, la sicurezza pubblica non coincide con l'incolumità pubblica, anche se sovente i due termini siano adoperati impropriamente in via cumulativa o alternativa. La prima ha portata certamente più vasta ed attiene ad ogni possibile attentato a qualsiasi bene giuridico o materiale facente capo ai cittadini, mentre la seconda si riferisce esclusivamente alla preservazione delle condizioni fisiche degli stessi (ovvero anche dell'integrità fisica della popolazione).
Sicché sotto tale profilo è innegabile che un Sindaco, quale massimo rappresentante dell'Ente Comunale e della collettività cittadina, debba attivarsi non solo e non necessariamente con l'adozione di un'ordinanza ad hoc bensì con qualsiasi altro atto amministrativo o comportamentale ( es. allertamento delle Forze dell'ordine, dei Vigili del Fuoco o della stessa Polizia municipale che da lui dipende, imposizione alla ditta delle opportune e palesemente omesse cautele) idoneo a prevenire il pericolo per la pubblica incolumità e gl'infortuni sul lavoro, con adozione di ogni mezzo appropriato (es transennando la zona ed impedendo il traffico pedonale e veicolare in prossimità ed, ancor più, nello spazio sottostante i lavori).
(Fattispecie in cui durante dei lavori di installazione di luminarie sulla facciata di una chiesa il braccio della gru cedeva e il “cestello” precipitava a terra sulla pubblica piazza causando la morte di due persone oltre al ferimento di altre, inclusi gli operatori; era acquisita prova che non era stata adottata alcuna misura di sicurezza per il pubblico passaggio e per la circolazione).
Fonte: Corte di Cassazione
Paolo Pittori
(25 novembre 2015)
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