TAR LOMBARDIA
No all'imposta di soggiorno per i Comuni non inseriti negli elenchi regionali
L'istituzione dell'imposta soggiace alle prescrizioni dell'art. 23 Cost.
Un Comune del varesotto adottava, alla fine del 2017, una delibera consiliare con la quale istituiva l'imposta di soggiorno prevista dal D.L.vo n. 23 del 2011, notificando poi il provvedimento ad ogni singola struttura ricettiva del territorio, unitamente al coevo Regolamento. Nella deliberazione comunale impugnata si dava atto, nelle relative premesse, che “la Regione Lombardia non ha ad oggi individuato le località turistiche e le città d’arte di cui all’art. 4, comma 1, del D.Lgs. 23/2011 ai fini dell’applicazione dell’imposta di soggiorno, lasciando liberi i Comuni di autodeterminarsi in merito”.
Quattro società impugnavano dinanzi al TAR lombardo tale provvedimento, deducendo la sua illegittimità in quanto non sussistevano i presupposti di legge in relazione a quanto disposto dall’art. 4 comma 1 del citato D.L.vo n. 23, atteso che il Comune emanante non risultava ricompreso, negli atti regionali, tra le località soggette a tale tipo di imposta.
Il TAR adito, Sezione III, con sentenza n. 838 del 27 marzo 2018, dava ragione ai ricorrenti ed annullava la delibera gravata.
L'art. 4 comma 1 del D.L.vo n. 23 del 2011 dispone che “I comuni capoluogo di provincia, le unioni di comuni nonché i comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte possono istituire, con deliberazione del consiglio, un’imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio, da applicare, secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo, sino a 5 euro per notte di soggiorno”.
La disposizione in questione, ad avviso del TAR, deve essere letta secondo il cono prospettico dei principi di cui all’art. 23 Cost. che pone la riserva di legge in materia di imposizione di prestazioni patrimoniali.
La riserva di legge costituisce, infatti, uno dei principi cardine dell’obbligazione tributaria, ponendosi quale guarentigia del cittadino sulle scelte di rilevanza tributaria di una manifestazione di ricchezza; il principio di legalità di cui all’art. 23 Cost. opera quindi sul piano formale, per cui è la legge istitutiva del prelievo tributario che deve disciplinarne gli aspetti fondamentali, individuandone i soggetti passivi (o i criteri per identificarli), il presupposto e la misura del tributo, attraverso l’indicazione dell’aliquota massima o la fissazione dei criteri idonei a delimitare la discrezionalità dell’Autorità chiamata ad applicare l’imposta.
Ciò posto, in relazione alla disposizione di cui all’art. 4 comma 1 del D.L.vo n. 23 del 2011, i giudici meneghini, sulla scorta di alcune pronunce già rese in altra sede, hanno ribadito che il fatto suscettibile di valutazione economica ai fini dell’applicazione dell’imposta di soggiorno è connesso a una spesa, quella turistica, non avente carattere d’indispensabilità e che costituisce espressione di una manifestazione non meramente fittizia di ricchezza, che trova la propria giustificazione, secondo la giurisprudenza costituzionale, nell’esigenza che i soggetti non residenti nel territorio comunale partecipino ai costi pubblici determinati dalla fruizione del patrimonio culturale e ambientale, anche in funzione di una migliore sostenibilità dei flussi di visitatori e, quindi, in virtù di una vocazione turistica del Comune interessato dall’applicazione dell’imposta, non generica, ma specificamente accertata dalla Regione attraverso l’inserimento dell’ente locale nell’elenco previsto dal ripetuto art. 4 del D.L.vo n. 23/2011.
Ne consegue che, anche per ragioni di ordine costituzionale, riveste carattere fondamentale l’accertamento dell’effettiva “vocazione turistica” del Comune nel quale si intenda istituire l’imposta di soggiorno; accertamento che l’art. 4 del D.L.vo n. 23/2011 ha rimesso all’esclusivo scrutinio della Regione (con l’eccezione delle Unioni di Comuni e dei capoluoghi di Provincia per i quali vige una sorta di presunzione di legge), con una disposizione da ritenersi ragionevole e volta a conservare la corrispondenza tra carattere prevalentemente turistico del soggiorno dei non residenti e imposizione tributaria.
Peraltro, l’attribuzione alla Regione del compito di predisporre gli elenchi dei Comuni abilitati ad imporre l’imposta di soggiorno, si inquadra nel riparto di competenze tra Stato e Regioni disegnato dall’art. 117 Costituzione che, nell’ambito della legislazione concorrente, assegna alla Regione il coordinamento del sistema tributario; coordinamento che, nel caso di specie, si realizza attraverso la predisposizione degli elenchi previsti dall’art. 4 citato attraverso i quali la Regione decide quali siano i Comuni che, per vocazione turistica, possono istituire l’imposta di soggiorno.
Ne consegue che la predisposizione degli elenchi regionali non può essere surrogata, come pretendeva il Comune resistente, da qualificazioni del tutto diverse per presupposti e fini quale ad esempio quelle di cui a provvedimenti regionali datati, assunti in base alla (allora vigente) L. reg. 16 luglio 2007 n. 15 (Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo), dunque ben prima dell’entrata in vigore del D.L.vo n. 23 del 2011.
Mattia Murra
(3 aprile 2018)
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