Immigrazione
Permesso di soggiorno: no al diniego automatico in presenza di una condanna penale
Il Consiglio di Stato chiarisce che la pericolosità sociale del richiedente va accertata in concreto.
Un cittadino di uno Stato non membro dell’Unione Europea, impugnava d’innanzi al T.A.R. per l’Emilia Romagna, il provvedimento con il quale veniva respinta la sua istanza intesa ad ottenere il permesso di soggiorno per “lungosoggiornanti UE”, convenendo in giudizio sia la Questura di Bologna sia il Ministero dell’Interno.
L’organo periferico dell’Amministrazione statale fondava il provvedimento di rigetto su un’unica motivazione, ossia la condanna inflitta al ricorrente per il delitto di cui all’art. 12 del D.L.vo. n. 286 del 1998, c.d. “Testo Unico sull’Immigrazione”. In particolare il comma 1 dell’art. 12 del decreto legge sopra citato stabilisce che: “chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona”. Insomma, il diniego di permesso era stato motivato con una condotta particolarmente grave da parte del richiedente, ritenuto responsabile di aver favorito proprio l’immigrazione clandestina.
Il T.A.R. adito respingeva il ricorso proposto e condannava l’interessato a rifondere le spese del giudizio nei confronti dell’Amministrazione. Il ricorrente, allora, articolando due distinti motivi di gravame, proponeva appello al Consiglio di Stato per la riforma della sentenza di primo grado.
Con sentenza 7 marzo 2018, i magistrati di Palazzo Spada ritenevano fondato l’appello accogliendo i motivi di ricorso proposti. L’istanza presentata dal ricorrente, infatti, si legge nella sentenza, “era rivolta ad ottenere un permesso per lungosoggiornante UE, rispetto al quale l’art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998 richiede una valutazione in concreto della pericolosità dello straniero, nel bilanciamento tra pregresse condotte, eventualmente rilevanti quali minacce all’ordine pubblico ed alla sicurezza nazionale, e il suo inserimento sociale, desunto, tra l’altro, dalla sua capacità lavorativa e dalla durata della sua permanenza sul territorio nazionale”.
Nell’esprimersi in tal senso, il Consiglio di Stato si è conformato ad un principio di diritto già recentemente pronunciato, secondo cui il diniego di rilascio del permesso per soggiornanti di lungo periodo deve essere sorretto da un giudizio di pericolosità sociale attuale dello straniero, con una motivazione fondata anche sulla durata del soggiorno nel territorio nazionale e sull’inserimento sociale, familiare e lavorativo dell’interessato, escludendo l’operatività di ogni automatismo in conseguenza di condanne penale riportate.
Il concreto bilanciamento tra la pericolosità sociale attuale e le condotte pregresse previsto dal T.U.I., in sostanza, è venuto a mancare nel caso di specie, in quanto la Questura prima ed il T.A.R. poi, hanno affermato in modo apodittico e manifesto l’esistenza di un automatismo ostativo al rilascio del permesso sulla sola base di una condanna penale riportata, tralasciando arbitrariamente di prendere in esame analiticamente la durata del soggiorno sul territorio nazionale dello straniero, nonché il suo inserimento sociale, familiare e lavorativo, valutazione fondamentale, invece, ai sensi dell’art. 9 comma 4 del citato D.L.vo n. 286/1998.
Fonte: Massimario G.A.R.I.
Mattia Murra
(18 marzo 2018)
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