CONSIGLIO DI STATO
Se la farmacia é priva del certificato di agibilitá dei locali va chiusa?
Legittima l'ordinanza sindacale, anche se non preceduta da alcun preavviso.
Un titolare di farmacia di un Comune campano era destinatario di un’ordinanza sindacale recante la chiusura del suo esercizio per mancanza del certificato di agibilità.
Avverso tale provvedimento il farmacista proponeva ricorso al TAR il quale tuttavia lo rigettava, sulla base del fatto che il legittimo esercizio dell’attività farmaceutica – connotata da peculiare esigenze di spiccata ed accurata idoneità anche sul versante della regolarità dei locali ove si svolge – deve essere ancorato, per l’intera durata del suo svolgimento, alla disponibilità giuridica e alla regolarità urbanistico-edilizia dei locali stessi.
Il farmacista ricorreva in appello, sostenendo che il primo giudice non aveva tenuto in considerazione le violazioni contestate, con riferimento all’aggravamento del procedimento ed all’omesso preavviso pur in presenza di una situazione che perdurava da anni.
Il Consiglio di Stato, Sez. III, con sentenza 26 novembre 2018 n. 6661 respingeva il gravame.
Osservava preliminarmente il Collegio da un lato che l’agibilità dei locali attesta non solo la salubrità degli ambienti ma anche la conformità dell’opera realizzata rispetto al progetto approvato e, dall’altro, che la costante giurisprudenza amministrativa è nel senso di ritenere che nel rilascio delle autorizzazioni devono tenersi presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere.
Da ciò deriva che il legittimo esercizio dell’attività commerciale è pertanto ancorato, non solo in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l’attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi che accertano l’abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale.
Nel caso in esame, constatata la carenza del presupposto di cui in argomento, il Comune non avrebbe potuto fare altro che impedire lo svolgimento dell’attività mediante l’adozione di un provvedimento di natura doverosa e vincolata, che, perciò, resiste anche alla (ulteriormente dedotta) censura di omesso preavviso.
Mattia Murra
(29 novembre 2018)
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