Friuli Venezia Giulia
Condannato il consigliere regionale dalle mani bucate
Danno erariale per le spese pazze del consigliere regionale. Il tutto giustificato per fini politico istituzionali.
Spese disinvolte per l’ennesimo consigliere regionale (PdL) del Friuli sotto la lente della Corte dei Conti. Purtoppo per lui (ma anche per noi) quelle spese, che non erano di rappresentanza (le uniche legittime), derivavano da finanziamenti pubblici.
Un importo complessivo di euro 31.020,32 formalmente riferito ad iniziative di divulgazione (12.973,50), a trasferte (7.926,16), a spese di cancelleria (403,32), acquisti di libri e giornali (1.795,81), all’acquisto di beni strumentali (45,06) e, ma solo per una residua somma, a spese di rappresentanza (7.876,39).
Tutt’altra storia la realtà. I rimborsi conseguiti dal consigliere regionale erano infatti difficilmente definibili di “rappresentanza”. Come al solito, gelaterie, ristoranti, birrerie, acquisti effettuati presso negozi di calzature, abbigliamento, vini e liquori, pane e dolci, nonché presso gioiellerie.
Spese senza indicazione né delle circostanze che avrebbero giustificato l’impiego di denaro pubblico, né alle generalità ed alla qualifica dei soggetti che ne hanno beneficiato.
Nella prima difesa, a seguito di azione della procura, i legali del consigliere non hanno esitato a difendersi in modo agguerrito: le scelte dell’organo consiliare sulle spese di funzionamento dei gruppi costituiscono espressione della funzione di autorganizzazione, quindi politica, sottratta al sindacato del giudice. Peraltro, così si difendevano, la mancanza di documentazione delle spese era giustificata dalla prassi sempre invalsa, rispetto alla quale non esisteva (fino al 2012) un modello di rendiconto.
Nessuna colpa quindi per il consigliere e nessun fatto illecito tali da far scaurire un danno erariale. Si diceva “è stato sempre cosi”, “è prassi”.
Dello stesso avviso non è stata la Corte dei Conti, sezione Friuli, che con sentenza del 15 luglio, ha quantificato il danno erariale in 29.283,61 (esclusi gli acquisti per libri e giornali) derivante, appunto, dall’utilizzo di finanziamenti di cui non risulta dimostrata la coerenza con le finalità proprie del contributo erogato.
Dei soldi pubblici, ha detto il giudice, bisogna sempre dar conto.
Ogni beneficiario di un contributo pubblico vincolato ad una specifica destinazione è infatti assoggettato all’obbligo di dar conto del relativo impiego, senza scuse.
Le spese di rappresentanza devono essere eccezionali e queste ovviamente non riguardano regali natalizi, confezioni di cioccolatini, per le occasioni di routine e non istituzionali.
Il Collegio ha, inoltre, valutato il “contributo causale” del Presidente del Gruppo consiliare e dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio, in quanto su entrambi gravava l’onere di vigilare sulla corretta utilizzazione delle risorse pubbliche.
Gioielli? Scarpe? Abbigliamento? Cesti di specialità alimentari? Oggi non più. L’utilizzo disinvolto ed incurante del denaro pubblico non deve essere più tollerato. Nessuna consuetudine può giustificare la violazione di obblighi di rendiconto dei soldi dei contribuenti.
Luca Tosto
(23 luglio 2014)
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