Speculazioni nella Sanità
Servizio Sanitario: condanna milionaria per rimborsi gonfiati
Cassino, al San Raffaele accertato un danno erariale di euro 41.492.909,13 per il Servizio Sanitario Nazionale e il Servizio Sanitario Regionale - A.u.s.l. di Frosinone.
La riabilitazione comporta un percorso lungo e, a volte molto costoso (soprattutto se ci si reca in case di cura private).
Per fortuna, spesso, ci pensa il Servizio Sanitario pubblico a rimborsare tutto a condizione però che vengano rispettati tutti i protocolli e le linee guida prestabilite. Purtroppo non sempre i controlli sono efficienti e spinte speculative portano a risarcimenti da capogiro.
Il danno che oggi dovrà essere risarcito (Corte dei Conti, Sez. Lazio, sent. n. 670/2014) grava in via principale sulla società San Raffaele S.p.a. proprietaria della omonima casa di cura di Cassino per la riabilitazione e in via sussidiaria, e fino alla concorrenza del rispettivo importo di condanna, da medici del Distretto D di Cassino, da responsabili del procedimento della stessa struttura amministrativa, e da amministratori della A.U.S.L. di Frosinone che a vario titolo sono stati ritenuti gravemente responsabili in via amministrativa.
Questi soggetti, che oggi sono chiamati a rispondere, hanno concorso con la propria condotta alla causazione del danno anche se con grado di incidenza differenziato.
L’esorbitante danno erariale deriva da irregolari rimborsi effettuati dalla A.u.s.l. di Frosinone per prestazioni erogate dalla Casa di cura San Raffale di Cassino, che risultavano irregolari.
La vicenda si pone nel panorama – purtroppo diffuso in molte regioni italiane – della non corretta gestione delle risorse pubbliche destinate al servizio sanitario.
Più in dettaglio, a seguito di due denunce di danno promananti dal Presidente p.t. del Collegio Sindacale dell’A.u.s.l. di Frosinone, veniva avviata dalla Procura regionale istruttoria concernente una serie di illeciti rimborsi di prestazioni sanitarie di riabilitazione ottenuti dalla Casa di cura San Raffaele di Cassino e, per essa, dalla società San Raffaele S.p.A., gruppo imprenditoriale controllante e proprietario della predetta struttura, con conseguente danno per il Servizio Sanitario Nazionale e Regionale.
Dai controlli dei Nas era emerso che per i periodi 2007-2009 la casa di cura aveva presentato fatture di importo superiore al budget assegnato alla Ausl di Frosinone; sovrautilizzato dei posti letto per fatturare oltre la massima capacità produttiva; non rispettato le linee guida nelle prestazioni sanitarie (concretizzatasi anche nella irregolarità/incompletezza dei dati riportati sulle cartelle dei pazienti).
I guai economici probabilmente sarebbero stato evitati (rimanendo in piedi le possibili responsabilità penali) se ci fosse stata particolare attenzione nell’impedire l’uso distorto di risorse pubbliche.
Purtroppo tale attenzione è mancata.
Negli anni, dice la Corte, la condotta dolosa della casa di cura San Raffaele non può negarsi: vie era la consapevolezza degli illeciti che ogni giorni erano attuati.
Alla determinazione del danno però (cioè la fase di liquidazione delle fatture gonfiate), avevano partecipato sia i componenti di una speciale Commissione medica, sia i responsabili Agenzia Sanitaria Pubblica della Regione Lazio, sia i dirigenti preposti all’Ufficio Amministrazione e Finanze, nonché il vari super manager. Tutti ruoli ricoperti all'interno della A.u.s.l. di Frosinone.
Tutti questi soggetti, dice la Corte dei Conti, con riferimento ai mancati controlli “partecipano a questa fase o avrebbero dovuto parteciparvi alla luce delle funzioni di cui erano titolari, soprattutto in momenti e circostanze che richiedevano una particolare attenzione per impedire l’uso distorto di risorse pubbliche”.
È noto che un procedimento di liquidazione, certificazione e controllo delle fatture da rimborsare è sicuramente molto complesso e macchinoso (soprattutto nel settore pubblico).
Per tale motivo, ricorda il giudice, “le competenze sono concorrenti e le funzioni devono evidentemente essere svolte in maniera coordinata e nella consapevolezza di partecipare ad un sistema unitario nel quale la correttezza di ogni fase concorre necessariamente al regolare esito del procedimento nel suo complesso”.
“…Nel caso di specie, la colpa istituzionalmente grave e, quindi, rilevante ai fini della responsabilità contabile di cui si discute, che si imputa a tali convenuti consiste appunto nell’avere essi agito, nello svolgimento dei propri specifici compiti e nell’assolvimento dei propri doveri istituzionali, in modo superficiale, imprudente e senza la professionalità che il ruolo di ciascuno evidentemente imponeva”.
Sottolinea ancora il giudice contabile che, il rapporto che si instaura con una struttura privata abilitata ad erogare prestazioni sanitarie a carico del servizio pubblico (in questo caso la Casa di cura San Raffale di Cassino), è un “rapporto durante il quale il legittimo interesse all’utile imprenditoriale del privato trasmoda in pura speculazione economica favorita dalla farraginosità ed intempestività dei provvedimenti amministrativi adottati dall’autorità decidente e dall’assenza e/o inefficienza dei controlli degli organi e dei soggetti a ciò deputati. Il tutto, ovviamente, a danno del pubblico erario”.
Giova ricordare che il sistema regionale dei controlli esterni dell’attività ospedaliera prevede, per le prestazioni erogate dalle case di cura accreditate, che i controlli siano demandati alla A.u.s.l. competente.
La Regione Lazio peraltro, ha fatto proprie le “Linee guida” nazionali del 1998 in ordine ai requisiti di accesso dei pazienti, ai controlli, alla descrizione dei programmi riabilitativi.
Niente di tutto ciò è stato rispettato e, a sua volta, controllato al fine di negare i rimborsi gonfiati.
La Procura ha infatti accertato che il numero e la qualifica dei dipendenti della Casa di cura, abilitati ad assistere i pazienti ricoverati per patologie che richiedevano prestazioni ad alta intensità riabilitativa, non erano sufficienti ad assicurare agli stessi una durata minima giornaliera di tre ore di cura (quali erano richieste dai protocolli), ma al massimo di 3⁄4 -1 ora. Inoltre, le testimonianze raccolte dalla P.G. hanno costituito prova attendibile della insufficienza del personale dipendente e delle difficoltà operative a coprire persino i normali servizi alla persona dei pazienti ricoverati che ha dimostrato, per di più, l’impossibilità delle prestazioni rese a raggiungere la durata minima conforme al protocollo sanitario che ne avrebbe giustificato la remunerazione a carico del sistema sanitario regionale.
In molte cartelle, poi era assente il “progetto” e il “programma” riabilitativo, requisito questo considerato elemento essenziale per poter considerare una prestazione ad alta intensità riabilitativa come correttamente resa.
La conclusione del giudice è paradigmatica: le “…testimonianze raccolte dai NAS sul modo di procedere nella Casa di cura non fanno che aggiungere un ennesimo tassello conoscitivo della del tutto anomala gestione dei pazienti sottoposti a riabilitazione intensiva (in disparte il dato, non certo trascurabile, dell’indice di mortalità nella San Raffaele di Cassino definito altissimo in assoluto e percentualmente a confronto con altre strutture sanitarie abilitate)”.
Luca Tosto
(28 settembre 2014)
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