Unione Europea
La Corte Europea boccia l'Italia sui permessi di soggiorno troppo cari
La sentenza della seconda Sezione del 2 settembre 2015.
Nell’ambito di una controversia pendente presso il TAR del Lazio, che vede la Confederazione Generale Italiana del Lavoro («CGIL») e l’Istituto Nazionale Confederale Assistenza («INCA») opposti alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al Ministero dell’Interno e al Ministero dell’Economia e delle Finanze, per l’annullamento del decreto del 6 ottobre 2011 relativo al Contributo per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno, Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha sottoposto alla Corte Europea la seguente questione pregiudiziale:
«Se i principi fissati dalla direttiva 2003/109 ostino ad una normativa nazionale, quale quella delineata dall’art. 5, comma 2-ter del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 nella parte in cui prescrive che la richiesta di rilascio e di rinnovo del permesso di soggiorno è sottoposta al versamento di un contributo, il cui importo è fissato fra un minimo di 80 e un massimo di 200 euro con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’interno, che stabilisce altresì le modalità del versamento”, fissando in tal modo un importo minimo del contributo pari ad 8 volte circa il costo per il rilascio di una carta d’identità nazionale».
Con la sua questione il TAR chiede, in sostanza, se la normativa italiana violi i principi europei in quanto impone ai cittadini di paesi terzi che chiedano il rilascio o il rinnovo di un permesso di soggiorno nello Stato membro considerato di pagare un contributo di importo variabile tra EUR 80 e EUR 200.
La Seconda Sezione della Corte di Giustizia con sentenza del 2 settembre 2015 ha preliminarmente ricordato che l’obiettivo principale della direttiva 2003/109 è l’integrazione dei cittadini di paesi terzi stabilitisi a titolo duraturo negli Stati membri e che è stato già riconosciuto dalla Corte che gli Stati membri possono subordinare il rilascio di permessi e titoli di soggiorno ai sensi della direttiva 2003/109 al pagamento di contributi e che, nel fissare l’importo di tali contributi, essi dispongono di un margine discrezionale.
Tuttavia, la Corte ha precisato che "il potere discrezionale concesso agli Stati membri dalla direttiva 2003/109 a tale riguardo non è illimitato. Essi non possono, infatti, applicare una normativa nazionale tale da compromettere la realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2003/109 e, pertanto, da privare quest’ultima del suo effetto utile.
Inoltre, in base al principio di proporzionalità, che fa parte dei principi generali del diritto dell’Unione, i mezzi predisposti per l’attuazione della direttiva 2003/109 devono essere idonei a realizzare gli obiettivi perseguiti da tale normativa e non devono eccedere quanto è necessario per conseguirli.
Pertanto, pur se gli Stati membri sono legittimati a subordinare il rilascio dei permessi di soggiorno a titolo della direttiva 2003/109 alla riscossione di contributi, resta il fatto che, in osservanza del principio di proporzionalità, il livello cui sono fissati detti contributi non deve avere né per scopo né per effetto di creare un ostacolo al conseguimento dello status di soggiornante di lungo periodo conferito da tale direttiva nonché degli altri diritti che derivano dalla concessione di tale status, venendo altrimenti arrecato pregiudizio tanto all’obiettivo perseguito dalla stessa quanto al suo spirito".
La Corte sul punto, ha evidenziato come il TAR nell'ordinanza di rinvio abbia precisato che l’importo del contributo di cui trattasi nel procedimento principale ammonta a EUR 80 per il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno di durata superiore a tre mesi e inferiore o pari a un anno, a EUR 100 per il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno di durata superiore a un anno e inferiore o pari a due anni, a EUR 200 per il rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.
Ebbene per la Corte, l’incidenza economica di un tale contributo può essere considerevole per taluni cittadini di paesi terzi, e ciò a maggior ragione per il fatto che, in considerazione della durata di tali permessi, tali cittadini sono costretti a richiedere il rinnovo dei loro titoli assai di frequente e che all’importo di detto contributo può aggiungersi quello di altri tributi previsti dalla preesistente normativa nazionale, cosicché, in tali circostanze, l’obbligo di versare il contributo nel procedimento principale può rappresentare un ostacolo alla possibilità per i predetti cittadini dei paesi terzi di far valere i diritti conferiti loro dalla summenzionata direttiva.
Inoltre, sottolinea la Corte che, "tanto nelle loro osservazioni scritte quanto all’udienza, le ricorrenti nel procedimento principale e la Commissione hanno sottolineato che, ai sensi della preesistente normativa italiana, tuttora vigente, tanto per il rilascio quanto per il rinnovo dei titoli di soggiorno, indipendentemente dalla durata del permesso di soggiorno in questione, deve essere versato un ulteriore importo, che ammonta a EUR 73,50, il quale si aggiunge al contributo di cui trattasi nel procedimento principale. Risulta inoltre dalla ordinanza di rinvio che, a norma dell’articolo 14 bis del decreto legislativo n. 286/1998, la metà del gettito prodotto dalla riscossione del contributo di cui trattasi nel procedimento principale è destinata a finanziare le spese connesse al rimpatrio verso i paesi di origine o di provenienza dei cittadini dei paesi terzi rintracciati in posizione irregolare sul territorio nazionale, circostanza confermata dal governo italiano in udienza...Non può pertanto essere accolto l’argomento del governo italiano secondo cui il contributo di cui trattasi non può essere sproporzionato in quanto il gettito ricavato da tale contributo è connesso all’attività istruttoria necessaria alla verifica del possesso dei requisiti previsti per l’acquisizione del titolo di soggiorno in base alla direttiva 2003/109."
La Corte ha, quindi, concluso dichiarando "che la direttiva 2003/109 osta ad una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che impone ai cittadini di paesi terzi che chiedono il rilascio o il rinnovo di un permesso di soggiorno nello Stato membro considerato di pagare un contributo di importo variabile tra EUR 80 e EUR 200, in quanto siffatto contributo è sproporzionato rispetto alla finalità perseguita dalla direttiva ed è atto a creare un ostacolo all’esercizio dei diritti conferiti da quest’ultima".
La Direzione
(2 settembre 2015)
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