Sicurezza pubblica
Porto d'armi: essere un imprenditore non basta per armarsi
I principi sanciti dalla Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 5 luglio 2016 n. 2998.
Il testo unico, nel disciplinare il rilascio della «licenza di porto d’armi», mira a salvaguardare la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica. Come ha rilevato la Corte Costituzionale il potere di rilasciare le licenze per porto d'armi «costituisce una deroga al divieto sancito dall'art. 699 del codice penale e dall'art. 4, primo comma, della legge n. 110 del 1975»: «il porto d'armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, eccezione al normaledivieto di portare le armi».
Ciò comporta che – oltre alle disposizioni specifiche previste dagli articoli 11, 39 e 43 del testo unico n. 773 del 1931 – rilevano i principi generali del diritto pubblico in ordine al rilascio dei provvedimenti discrezionali.
Inoltre, oltre alle disposizioni del testo unico che riguardano i requisiti di ordine soggettivo dei richiedenti (in particolare, gli articoli 11, 39 e 43), rilevano quelle (in particolare, gli articoli 40 e 42) che attribuiscono in materia i più vasti poteri discrezionali per la gestione dell’ordine pubblico:
- per l’art. 40, «il Prefetto può, per ragioni di ordine pubblico, disporre, in qualunque tempo, che le armi, le munizioni e le materie esplodenti, di cui negli articoli precedenti, siano consegnate, per essere custodite in determinati depositi a cura dell'autorità di pubblica sicurezza o dell'autorità militare» (il che significa che il Prefetto può senz’altro disporre il ritiro delle armi, purché, ovviamente, sussistano le idonee ragioni da palesare nel relativo provvedimento);
- per l’art. 42, «il Questore ha facoltà di dare licenza per porto d'armi lunghe da fuoco e il Prefetto ha facoltà di concedere, in caso di dimostrato bisogno, licenza di portare rivoltelle o pistole di qualunque misura o bastoni animati la cui lama non abbia una lunghezza inferiore a centimetri 65» (il che significa che il Prefetto può anche fissare preventivi criteri generali per verificare se nei casi concreti vi sia il «dimostrato bisogno» di un porto d’armi per difesa personale, in rapporto ai profili coinvolti dell’ordine pubblico).
Sulla base del quadro normativo sopra esposto, la Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 5 luglio 2016 n. 2998 ha affermato che il Ministero dell’Interno, nelle sue articolazioni centrali e periferiche può dunque effettuare valutazioni di merito in ordine ai criteri di carattere generale per il rilascio delle licenze di porto d’armi, tenendo conto del particolare momento storico, delle peculiarità delle situazioni locali, delle specifiche considerazioni che – in rapporto all’ordine ed alla sicurezza pubblica - si possono formulare a proposito di determinate attività e di specifiche situazioni.
Gli organi del Ministero dell’Interno, ad es., possono decidere di restringere la diffusione e l’uso delle armi, quando occorra affrontare le situazioni locali ove sono radicate organizzazioni criminali. In tal caso, l’Amministrazione può predisporre criteri rigorosi in base ai quali le istanze degli interessati vadano esaminate tenendo conto della esigenza di evitare la diffusione dellearmi: a maggior ragione nei contesti ove è più difficile la gestione dell’ordine pubblico, è del tutto ragionevole che ci si orienti verso valutazioni rigorose, anche sulla sussistenza dei presupposti tali da far ravvisare la completa affidabilità del richiedente.
A parte l’esigenza di affrontare le emergenze della criminalità organizzata, gli organi del Ministero dell’Interno possono tener conto anche di considerazioni di carattere generale, coinvolgenti l’ordine e la sicurezza pubblica. Ad esempio, essi possono previamente fissare i criteri secondo cui, a meno che non vi siano specifiche e accertate ragioni oggettive, l’appartenenza ad una ‘categoria’ non è di per sé tale da giustificare il rilascio delle licenze di porto d’armi.
Spetta infatti al legislatore introdurre una specifica regola se l’appartenenza ad una ‘categoria’ giustifica il rilascio di tali licenze e la possibilità di girare armati (tale rilascio è previsto, ovviamente, per gli appartenenti alle Forse dell’Ordine, nei limiti stabiliti dagli ordinamenti di settore).
Se invece si tratta di imprenditori, di commercianti, di avvocati, di notai, di operatori del settore assicurativo o bancario, ecc., in assenza di una disposizione di legge sul rilascio della licenza di polizia ratione personae, si deve ritenere che l’appartenenza alla ‘categoria’ in sé non abbia uno specifico rilievo, tale da giustificare il rilascio della licenza di porto d’armi.
Le relative valutazioni degli organi del Ministero dell’Interno – anche quando si tratti di istanze di licenze volte alla difesa personale - possono e devono tener conto delle peculiarità del territorio, delle specifiche implicazioni di ordine pubblico e delle situazioni specifiche in cui si trovano i richiedenti, ma si possono basare anche su criteri di carattere generale, per i quali l’appartenenza in sé ad una categoria non ha uno specifico rilievo.
Qualora l’organo periferico del Ministero dell’Interno si orienti nel senso che l’appartenenza in sé ad una categoria non ha uno specifico rilievo, le relative scelte di respingere le istanze di rilascio (o di rinnovo) delle licenze costituiscono espressione di valutazioni di merito, di per sé insindacabili da parte del giudice amministrativo. La motivazione dei provvedimenti di rigetto delle istanze può basarsi dunque sulla assenza di specifiche circostanze tali da indurre a disporne l’accoglimento e l’interessato può lamentare la sussistenza di profili di eccesso di potere, qualora vi sia stata una inadeguata valutazione in concreto delle circostanze.
Inoltre, sono configurabili profili di eccesso di potere, qualora l’Amministrazione – nel respingere l’istanza in quanto formulata da un appartenente ad una categoria per la quale non si sono ravvisati particolari esigenze da tutelare col rilascio della licenza di porto d’armi– invece abbia accolto l’istanza di chi versi in una situazione sostanzialmente equivalente: secondo i principi generali, chi impugna un diniego di licenza ben può dedurre che, in un caso equivalente (anche per circostanze di tempo e di luogo), l’istanza di altri sia stata invece accolta.
Ben diverso - aggiunge il Collegio - è l’onere di motivazione, qualora l’Amministrazione decida di disporre la revoca anticipata degli effetti delle licenze di polizia, prima della scadenza dei loro effetti. In tal caso, se la revoca non è disposta per ragioni di carattere personale (prese in considerazione dagli articoli 11 e 43 del testo unico), ma per valutazioni generali di ordine pubblico (ai sensi degli articoli 40 e 42), occorre una specifica motivazione sulle cause che inducano ad una tale misura, che cioè espliciti il perché si ritenga necessario ridurre il numero delle licenze e delle armi in circolazione.
Nella vicenda attenzionata, il Prefetto è giunto alla conclusione che non vi sono ragioni per rilasciare all’appellato il porto di pistola per difesa personale. Da un lato, non sono emersi elementi tali da evidenziare come l’incolumità dell’appellato si possa considerare a specifico repentaglio e, comunque, la relativa valutazione dell’Amministrazione – più volte esplicitata - non risulta manifestamente irragionevole.
Infatti, precisa il Collegio, ragionevolmente la Prefettura può considerare irrilevanti la commissione o la denuncia di reati che purtroppo sono commessi con periodicità statistica in danno della collettività, ma che non sono strettamente correlabili alla persona di chi abbia formulato l’istanza ed alle esigenze della sua incolumità personale. Sotto tale aspetto, ragionevolmente la Prefettura non ha attribuito specifico rilievo ad una rapina commessa presso l’abitazione del socio ovvero ai furti denunciati, perché si tratta di accadimenti di cui chiunque può essere vittima.
In tal modo, il Prefetto ha ragionevolmente ritenuto che l’appartenenza alla categoria degli imprenditori è inidonea di per sé «ad integrare la necessità di andare armati», così come già affermato da questo Consiglio con la sentenza n. 1543 del 2007, con una affermazione di principio che più volte è stata ribadita. (cfr. Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1700; Sez. III, 6 giugno 2016, n. 2417).
Concludono i Giudici di Palazzo Spada affermando che neppure può essere ravvisato un profilo di contraddittorietà nella determinazione dell’Amministrazione di non disporre il rinnovo della licenza, più volte in precedenza rilasciato. Infatti, ogni volta che esamina una istanza di rinnovo, il Ministero dell’Interno formula una attuale valutazione degli interessi pubblici e privati coinvolti e tiene conto delle esigenze attuali della salvaguardia dell’ordine pubblico. In altri termini, le esigenze proprie del momento in cui è stato disposto un rinnovo possono essere diverse da quelle successivamente palesatesi.
E se gli organi del Ministero dell’Interno ritengono di valutare con maggior rigore le istanze (senza attribuire rilievo alla appartenenza ad una ‘categoria’), si tratta di una valutazione di merito, insindacabile dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione di legittimità, fermo restando che l’interessato può dolersi delle eventuali disparità di trattamento che si commettano in concreto.
La Direzione
(17 luglio 2016)
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