Fiscalità
Le prostitute devono pagare le tasse
Per la Cassazione l'attività di meretricio è assimilabile al lavoro autonomo se svolta in forma abituale, ovvero rientra nella categoria dei "redditi diversi" se svolta, sempre autonomamente, ma in forma occasionale. L'abitualità incide anche sull'applicazione dell'IVA.
Partiamo dal fatto: la Guardia di Finanza eseguiva una verifica fiscale nei confronti di una donna, che, pur non avendo mai presentato dichiarazione dei redditi, risultava intestataria di numerose autovetture anche di lusso, acquirente di un appartamento, titolare di vari contratti di locazione immobiliare; inoltre, dagli accertamenti bancari effettuati, la donna risultava intestataria di dieci conti correnti attivi e di gestioni patrimoniali.
Sulla base degli accertamenti effettuati, con particolare riguardo ai dati relativi ai versamenti sui conti correnti bancari, l'Agenzia delle Entrate emetteva avviso di accertamento con il quale recuperava a tassazione ai fini Irpef il reddito imponibile.
Contro l'avviso di accertamento la donna proponeva ricorso sostenendo la non tassabilità dei redditi accertati in quanto provento dell'attività di prostituzione dalla stessa esercitata.
La questione è giunta sino alla Corte di Cassazione, Sezione Quinta che, con sentenza n. 15596 del 27.7.2016, ha affermato che "La natura reddituale attribuita ex lege ai proventi delle attività illecite, con la conseguente tassabilità quali "redditi diversi", comporta, a maggior ragione, che venga riconosciuta natura reddituale all'attività di prostituzione, di per sé priva di profili di illiceità (costituendo invece illecito penale ogni attività di favoreggiamento o sfruttamento della prostituzione altrui a norma dell'art.3 della legge 20.2.1958 n.75), attività parzialmente tutelata dallo stesso ordinamento civile che comprende la prestazione sessuale dietro corrispettivo nella categoria della obbligazione naturale, la quale, se non consente il diritto di azione, attribuisce alla persona che ha svolto l'attività di meretricio il diritto di ritenere legittimamente le somme ricevute in pagamento della prestazione ( art.2035 cod.civ.)".
Peraltro la tassabilità dei proventi dell'attività di prostituzione è stata avallata a livello comunitario dalla Corte di giustizia delle Comunità Europee con la sentenza del 20.11.2001, causa C-268/99, in cui ha affermato che « la prostituzione costituisce una prestazione di servizi retribuita la quale rientra nella nozione di attività economiche», e che «spetta al giudice nazionale accertare, caso per caso, se sussistono le condizioni per ritenere che la prostituzione sia svolto come lavoro autonomo», ossia al di fuori di fenomeni di induzione, costrizione o sfruttamento della prostituzione altrui. (i cui proventi, prima ancora che assoggettabili ad imposta, sono interamente confiscabili quali provento di reato a norma dell'art.240 comma 1 cod.pen.)".
Nel caso in esame il giudice di merito - precisa la Suprema Corte - ha accertato che la contribuente (per sua stessa dichiarazione) svolgeva liberamente ed autonomamente l'attività di prostituzione, dalla quale erano derivati i proventi risultanti dai conti correnti bancari, con conseguente imponibilità degli stessi, trattandosi di attività assimilabile al lavoro autonomo se svolto in forma abituale, ovvero rientrante nella categoria dei "redditi diversi" ai sensi dell'art.6 lett.f) e 67 lett.1) d.P.R. 22 dicembre 1986 n.917, se svolta, sempre autonomamente, ma in forma occasionale.
Da ultimo concludono i Giudici di Palazzaccio precisando che "L'esercizio della attività di prostituzione, abituale o occasionale che sia, genera comunque un reddito imponibile ai fini Irpef, trattandosi, nel primo caso, di redditi assimilabili al lavoro autonomo, e, nel secondo caso, di redditi rientranti nella categoria residuale dei redditi diversi previsti dall'art.6 comma 1 lett.f) d.P.R. 22 dicembre 1986 n.917; il requisito della abitualità è invece rilevante ai diversi fini dell'assoggettamento dei proventi dell'attività di prostituzione anche alla imposizione indiretta (Iva) ai sensi dell'art.5 d.P.R. 26 ottobre 1972 n.633",
Fonte: Corte di Cassazione
La Direzione
(13 settembre 2016)
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