Corte di Cassazione
Scatta d'ufficio la sanzione per lite temeraria per chi agisce o resiste pretestuosamente in giudizio
L'abuso del processo. Per la condanna non è richiesto il dolo o la colpa grave.
La Corte di Cassazione ha recentemente riesaminato la questione relativa alla funzione sanzionatoria della condanna per lite temeraria prevista dall’art. 96 ultimo comma del codice di procedura civile, in relazione sia alla necessità di contenere il fenomeno dell'abuso del processo sia alla evoluzione della fattispecie dei "danni punitivi"che ha progressivamente fatto ingresso nel nostro ordinamento.
In particolare, l’art. 96 del codice prevede tre ipotesi diverse di responsabilità aggravata alle quali dedica i seguenti tre commi:
1.“Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza.
2. Il giudice che accerta l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimeto cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l'attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente.
3.In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”.
La condanna prevista dal comma 3, applicabile d'ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96, commi 1 e 2, c.p.c. e con queste cumulabile, volta al contenimento dell'abuso dello strumento processuale.
La sua applicazione, pertanto, non richiede, il riscontro dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di "abuso del processo", quale l'aver agito o resistito pretestuosamente e cioè nell'evidenza di non poter vantare alcuna plausibile ragione.
In relazione a ciò, la Corte di Cassazione Civile, Sezione 3 con ordinanza pubblicata in data 11.10.2018 ha ribadito, a mero titolo esemplificativo, che ai fini della condanna ex art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. può costituire abuso del diritto all'impugnazione la proposizione di un ricorso per cassazione basato su motivi manifestamente incoerenti con il contenuto della sentenza impugnata, o completamente privo di autosufficienza oppure contenente una mera complessiva richiesta di rivalutazione nel merito della controversia.
In tali ipotesi, il ricorso per cassazione integra un ingiustificato sviamento del sistema giurisdizionale, essendo non già finalizzato alla tutela dei diritti ed alla risposta alle istanze di giustizia, ma destinato soltanto ad aumentare il volume del contenzioso e, conseguentemente, a ostacolare la ragionevole durata dei processi pendenti ed il corretto impiego delle risorse necessarie per il buon andamento della giurisdizione.
Enrico Michetti
Fonte: Massimario G.A.R.I.
La Direzione
(15 ottobre 2018)
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