Corte di Cassazione
Scatta il reato di frode in commercio se nei locali ci sono alimenti congelati non indicati nel menù
I principi sanciti dalla Suprema Corte nella sentenza del 29 marzo 2019.
Il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, da ultimo confermato dalla Terza Sezione Penale della Suprema Corte, statuisce che la detenzione all'interno di un esercizio commerciale di alimenti congelati o surgelati, senza che nel menù siano indicate queste qualità, integra il reato di tentativo di frode in commercio, poiché tale comportamento dimostra univocamente la volontà dell'esercente di consegnare ai clienti una cosa diversa da quella pattuita, e ciò indipendentemente dall'inizio di una concreta contrattazione con il singolo avventore.
Sulla base di tale orientamento, la Corte di Cassazione nella sentenza del 29 marzo 2019 (Presidente: ACETO ALDO Relatore: ZUNICA FABIO Data Udienza: 22/11/2018) ha confermato la condanna di due ristoratori alla pena di mesi 2 di reclusione ed euro 80 di multa ciascuno con pubblicazione della sentenza sul sito internet del Ministero della Giustizia per la durata di giorni 15 per avere compiuto in concorso fra loro nel proprio ristorante, atti idonei - rappresentati dal non aver comunicato alla clientela, mediante indicazione sul menù, la somministrazione di pesce decongelato/surgelato - diretti a vendere al pubblico questo cibo come pesce fresco, non riuscendo nel tentativo per cause indipendenti dalla propria volontà.
Inutile è stato per i ristoratori lamentare la violazione e la falsa applicazione del reato di frode nell’esercizio del commercio previsto e punito dall'art. 515 del codice penale, nella forma tentata, sottolineando innanzitutto che la condotta descritta nel capo d'imputazione non era stata riscontrata, non essendo dimostrato che nel menù fosse specificato che i prodotti erano freschi, essendo stata provata la sola circostanza che nel locale vi fosse anche pesce fresco, la cui presenza varrebbe - secondo gli imputati - già a escludere la sussistenza del tentativo di frode in commercio.
Il nucleo essenziale della condotta contestata - precisa la Corte - risiede non nella mancata specificazione nel menù che i prodotti erano freschi, ma piuttosto nella circostanza che in tale menù non era stato chiarito che alcuni alimenti posti in vendita erano congelati, sebbene «trattasse in realtà di prodotti non freschi.
Irrilevante è stata ritenuta la circostanza che, nel ristorante gestito dai ricorrenti, fosse presente anche del pesce fresco. Ad avviso della Suprema Corte tale circostanza è di per sé idonea a smentire il dato che, rispetto ad altri alimenti pure indicati nel menù e, quindi, parimenti proposti in vendita nel locale, non era specificato che si trattava in realtà di prodotti congelati e non freschi, il che, come si è detto, è sufficiente a integrare il tentativo di frode in commercio in ordine a tali alimenti.
Per approfondire vai alla sentenza
Massimario G.A.R.I.
La Direzione
(2 aprile 2019)
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