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CONSIGLIO DI STATO

Il divieto generalizzato dei voli aerei notturni

E' illegittimo il DPR n. 476 del 1999 che ripropone un divieto generalizzato dei voli notturni negli aeroporti civili.

Nel 2000 la soc. Aeroporti di Roma adiva il TAR del Lazio per ottenere l’annullamento del D.P.R. n. 476 del 9 novembre 1999, nella parte in cui, intervenendo sul disposto di cui all’art. 5 del precedente D.P.R. n. 496/97 (regolamento recante norme per la riduzione dell’inquinamento acustico prodotto dagli aeromobili civili, annullato dal medesimo Tar con la sentenza n. 10119 del 2014 e per la quale ancora era pendente l’appello davanti al Consiglio di Stato), avrebbe - di fatto - riproposto il divieto generalizzato di svolgimento dei voli notturni negli aeroporti civili.

Il T.a.r. con la sentenza n. 1320 del 25 gennaio 2017, ha accolto il ricorso, sotto il profilo della irragionevolezza della previsione di un divieto di voli civili notturni generalizzato e indistinto, reputando la modificazione apportata con il regolamento impugnato (il citato D.P.R. n. 476 del 1999) inidonea a superare le ragioni di illegittimità che tempo addietro avevano condotto all’annullamento, come detto, del precedente regolamento in parte qua (D.P.R. n. 496 del 1997);

Il Ministero dei trasporti e il Ministero dell’ambiente hanno impugnato la sentenza, censurando il ragionamento logico-giuridico seguito dal primo giudice, nella parte in cui - a loro dire - il medesimo, in primo luogo, non avrebbe fatto corretta applicazione dell’art. 5 del D.P.R. n. 476 del 1999, omettendo di valutare le specifiche circostanze di fatto che, laddove correttamente interpretate, avrebbero dovuto indurlo a discostarsi dal decisum assunto nella precedente sentenza del medesimo Tar, anziché adeguarvisi (primo motivo) e, in secondo luogo, non avrebbe fatto corretta applicazione dell’art. 7 del D.L.vo n. 13/2005 (emanato in recepimento della direttiva 2002/30/CE), omettendo di considerare che tale decreto, per un verso, richiama nelle proprie premesse giustificative entrambi i regolamenti impugnati e, per altro verso, fa espressamente salve (all’art. 7) le restrizioni adottate prima della propria entrata in vigore, sottraendole alla procedura prevista per le nuove restrizioni, le quali – dunque – si aggiungono a quelle già previste dal regolamento impugnato (secondo motivo).

Il Consiglio di Stato, con sentenza della IV Sezione, n. 1534 del 5 marzo 2019, ha ritenuto infondato il gravame e lo ha respinto.

La questione giuridica sulla quale si incentrava l’appello concerneva l’accertamento se l’art. 1 del D.P.R. n. 476/1999 - malgrado la riformulazione del previgente art. 5 del D.P.R. n. 496/1997, annullato in sede giurisdizionale – continuasse ad essere (o meno) fonte di un divieto generalizzato (e, dunque, non consentito, né dalla normativa interna, né da quella europea) di voli notturni negli aeroporti civili.

I Giudici di Palazzo Spada sono partiti dal raffronto delle due disposizioni osservando che l’art. 1 del D.P.R. n. 476/1999, rubricato “Limitazioni al traffico aereo notturno”, ha sostituito integralmente la precedente disposizione, vigente nella materia.

Dal mero raffronto testuale tra le due disposizioni è dato evincere che:

a) ante riforma, il divieto in questione era:

- generalizzato e imposto dal regolamento per i movimenti aerei su tutti gli aeroporti civili dalle ore 23 alle ore 6 locali;

- derogato dal regolamento in relazione ai movimenti effettuati nelle circoscrizioni degli aeroporti intercontinentali di Roma Fiumicino e Milano-Malpensa; ai voli effettuati per il servizio postale con aeromobili che soddisfano determinati requisiti acustici; ai voli di Stato, sanitari e di emergenza;

- derogabile, per tutti gli altri voli, con provvedimento amministrativo dell’Enac (d'intesa con le regioni interessate, sentito il Ministero dell'ambiente) al ricorrere di determinate condizioni tecniche (requisiti acustici e valore Lvan);

b) post riforma, il divieto è:

- generalizzato e imposto con provvedimento motivato del Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro dei trasporti e della navigazione per i movimenti aerei civili negli aeroporti civili e militari, aperti al traffico civile, dalle ore 23 alle ore 6 locali;

- derogato dal regolamento per i voli di Stato, sanitari e di emergenza;

- derogabile, con decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro dei trasporti e della navigazione, per i voli postali e i voli in ritardo;

- derogabile, con decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro dei trasporti e della navigazione, sentite le regioni e gli enti locali territorialmente competenti, per i singoli aeroporti, al ricorrere di determinate condizioni tecniche (requisiti acustici e valore Lvan).

Il Collegio, condividendo quanto già osservato dal giudice di prime cure, si è mostrato dell’avviso che la riformulazione dell’art. 5 del precedente regolamento non consente di ritenere superate le vecchie criticità riscontrate: infatti, al fine di escludere la persistenza del divieto generalizzato ed indistinto di voli civili notturni negli aeroporti civili, non è sufficiente la mutazione (soggettiva) dell’Autorità deputata ad introdurre il divieto (o la relativa eccezione allo stesso), né la modificazione (oggettiva) dello strumento attraverso il quale ciò si dispone.

La generalizzazione e l’indistinzione, infatti, possono ritenersi superate solo attraverso l’instaurazione di un procedimento amministrativo idoneo a:

- differenziare la portata del divieto in relazione alle singole situazioni di effettivo inquinamento acustico e di effettivo danno o pericolo per la salute e per l’interesse ambientale;

- discriminare le situazioni in base alle realtà territoriali e ambientali disomogenee;

- valutare, in concreto, l’idoneità del ricorso alle misure di contenimento acustico previste dalla normativa vigente;

- escludere, in concreto, l’adottabilità di misure alternative per il raggiungimento degli obiettivi stabiliti.

Il Consiglio di Stato ha rilevato, infatti, che una diversa interpretazione del regolamento impugnato si porrebbe inevitabilmente in contrasto con la direttiva 2002/30/CE e con il D.Lvo 17.1.2005 n. 13 di attuazione della medesima, fondati – invece – sull’opposto principio della libertà di circolazione e di divieto di restrizioni allo svolgimento di attività d’impresa, laddove non proporzionate né commisurate agli scopi prefissati.

L’assunto interpretativo prospettato dalla parte appellante, secondo cui tali principi non si applicherebbero, nel caso di specie, in virtù della clausola di salvezza contenuta nell’art. 7 del medesimo decreto del 2005, non è stato allora ritenuto condivisibile in primo luogo perché la norma va interpretata nel senso della conservazione delle restrizioni operative già operative, alle quali se ne possono aggiungere di nuove in esecuzione degli obblighi europei, ed in secondo luogo in quanto la norma non preclude il sindacato di legittimità sulle restrizioni operative emanate in esecuzione del regolamento del 1997 nonché di quello del 1999.

Tutto ciò premesso, si è ravvisato anche nel regolamento impugnato - malgrado la riformulazione apportata a quello previgente, annullato – la violazione del divieto di introduzione di restrizioni operative generiche e indifferenziate (elementi contrari utili non possono trarsi nemmeno dalla nota dell’Enac agli atti, essenzialmente ripetitiva del quadro normativo in materia, ma non descrittiva dei procedimenti amministrativi attivati per i singoli aeroporti).

 

Rodolfo Murra

(6 marzo 2019)

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