Registri dello Stato civile
Nozze Gay, nuova sentenza del Consiglio di Stato: il Sindaco non può impugnare gli atti del Prefetto
I giudici di Palazzo Spada chiariscono il rapporto inter-organico tra Sindaco, ufficiale di Governo, e Prefetto nella materia in esame.
Con la sentenza depositata il 4 novembre 2015, n. 5039, la Terza Sezione del Consiglio di Stato torna sulla questione della trascrivibilità nei registi dello stato civile dei matrimoni tra persone dello stesso sesso.
I fatti sono ben noti e sono già stati oggetto di tre precedenti sentenze del medesimo Consiglio di Stato, pubblicate in data 26 ottobre 2015 con i n.ri 4897, 4898 e 4899.
Essi nascono e nascono dalla controversa sentenza del TAR del Lazio, Sez.I-ter n.3911 del 2015, la quale da una parte aveva riconosciuto l’insussistenza di qualsivoglia diritto al matrimonio di persone dello stesso sesso e alla trascrizione negli atti dello stato civile di matrimoni tra coppie omosessuali celebrati all’estero (e, di conseguenza, la legittimità della circolare in data 7 ottobre 2014 con cui il Ministro dell’interno aveva stabilito l’intrascrivibilità in Italia di matrimoni omosessuali contratti all’estero), dall’altra aveva giudicato illegittimo il provvedimento con cui il Prefetto di Roma aveva decretato l’annullamento del matrimonio celebrato in Spagna da una coppia omosessuale.
Il TAR, su ricorso del Sindaco di Roma, come ufficiale di Governo, aveva rilevato che la cancellazione degli atti dai registri dello stato civile resta riservata all’autorità giudiziaria ordinaria e per questo motivo aveva annullato il provvedimento prefettizio.
Il Consiglio di Stato, ribalta la decisione e lo fa in punto di diritto, senza entrare nel merito della questione, rilevando come la relazione inter-organica in questione tra il Sindaco, come ufficiale di Governo, e il Prefetto sia regolata da un rapporto di subordinazione gerarchica del primo rispetto al secondo, rapporto tutto “interno” al Ministero tenutario dei registri dello stato civile.
In questo senso dispone chiaramente la lettera dell’art. 9 d.P.R. 3.11.2000, n. 396 (recante il Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile) che prevede, quanto ai poteri di indirizzo e vigilanza, che “l'ufficiale dello stato civile – e dunque il Sindaco quando agisce come tale - è tenuto ad uniformarsi alle istruzioni che vengono impartite dal Ministero dell'interno.
La vigilanza sugli uffici dello stato civile spetta al prefetto”, mentre l’art. 104 aggiunge, con riferimento alle verifiche ordinarie e straordinarie, che “Il prefetto, o chi da lui delegato, si deve recare almeno una volta ogni anno negli uffici dello stato civile compresi nella propria provincia per verificare se gli archivi sono tenuti con regolarità e con precisione. Può procedersi in ogni tempo a verificazione straordinaria disposta di ufficio”.
Il Consiglio di Stato, dunque, premesso che il Sindaco di Roma Capitale, nel trascrivere i matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all’estero, avesse agito nella veste di Ufficiale di stato civile e che, in tale ruolo, esercita funzioni statali, ad esso delegate dall’art.54, co. 3, d.lgs. n.267/2000, nell’ambito del rapporto di subordinazione gerarchica con il Prefetto, non ha potuto far altro che rilevare come da tale configurazione giuridica della relazione interorganica in questione derivi una necessaria coincidenza di interessi tra il soggetto delegante e il soggetto delegato, agendo, gli stessi, nell’esercizio del medesimo potere e a cura degli stessi interessi pubblici stabiliti dalla legge.
Corollario necessario della (ri) costruzione del sistema è la carenza di legittimazione ad agire da parte del Sindaco quale ufficiale di Governo e l’inammissibilità del ricorso al TAR posto che l’organo subordinato non può agire in giudizio lamentando l’illegittimità di un atto adottato dall’organo ad esso sovraordinato e deputato alla sua vigilanza, dovendosi risolvere il conflitto tra organi all’interno in sede amministrativa.
Sotto questo punto di vista, decisione ineccepibile.
La parola passa definitivamente al Legislatore cui spetta, per definizione, di adempiere agli obblighi imposti dalla Corte dei diritti dell’uomo, dal principio di eguaglianza sostanziale e dall’evoluzione della società, contemperando le diverse opinioni in materia.
Paolo Pittori
(17 novembre 2015)
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