Allarme smaltimento rifiuti in mare
800 tonnellate di armi chimiche siriane a Gioia Tauro
E' arrivata nel porto di Gioia Tauro la nave Ark Futura con a bordo 800 tonnellate di agenti chimici siriani. Saranno smaltiti a bordo della statunitense Cape Ray. Timori per l'inquinamento del Mediterraneo.
E' arrivata nel porto di Gioia Tauro la Ark Futura, la nave che trasporta una parte dell'arsenale chimico siriano. Circa 800 tonnellate di agenti chimici, di cui 600 saranno trasferiti sulla nave americana Cape Ray arrivata ieri nel porto calabrese. Si tratta di 78 container: 3 di iprite e 75 di precursori del sarin, che saranno poi neutralizzati a bordo della Cape Ray.
Una volta al molo le navi saranno rifornite di gasolio, operazione che dovrebbe durare poco meno di una giornata. Quindi il trasbordo vero e proprio e il passaggio dei container sulla "Cape Ray" che ripartirà ad operazioni concluse verso acque internazionali, dove gli agenti chimici verranno resi innocui attraverso l'idrolisi ossia un processo di scissione dei componenti chimici per mezzo dell'acqua. La nave americana è infatti equipaggiata con due "field deployable hydrolysis systems" e a bordo viaggeranno 35 marine e 64 esperti chimici dell'Army's Edgewood Chemical Biological Center.
Se le autorità calabresi sono preoccupate per il trasbordo dei container, ad allarmare gli ambientalisi ma anche numerosi esperti è invece il processo di trattamento e smaltimento dei rifiuti che per la prima volta nella storia verrà effettuato in mare.
Corifeo dei critici il professor Evangelos Gidarakos, docente di Lavorazione e distribuzione di rifiuti tossici e pericolosi presso il Politecnico di Creta, una delle più prestigiose istituzioni universitarie greche: "Il problema dei rifiuti non riguarda solo Creta - assicura - ma l'intero Mediterraneo". E aggiunge: "Queste sostanze chimiche sono miscele di sostanze pericolose e tossiche, che non sono in grado di essere inattivate in modo da non causare danni agli organismi viventi solo con questo metodo”.
D'altra parte secondo Gidarakos: “Questa zona tra l’Adriatico e il Mediterraneo era diventata ‘un cimitero di prodotti chimici’ dalla mafia italiana, che aveva immerso in un periodo di 20 anni circa 30 navi cariche di vari tipi di sostanze e rifiuti chimici, come è stato rivelato in questi ultimi anni”.
La procedura per la distruzione dell’arsenale chimico della Siria dovrebbe durare circa tre mesi. Gidarakos non nasconde tuttavia i propri dubbi: “Esistono 1.250 tonnellate di armamenti ‘principali’ come i gas sarin e i gas mostarda ed altre 1.230 tonnellate di sostanze precursori che sono utilizzate per la fabbricazione delle armi vere e proprie. Queste sostanze, principalmente composti chimici di cloro e fluoro, sono di per sé altamente velenose e tossiche. E poi esiste una gamma di altre sostanze acquistate dalla Siria dopo l’embargo per cui sono sia di provenienza sia di natura ignota. Anche prendendo per buone le 1.500 tonnellate ufficialmente dichiarate, non credo che tutto possa essere concluso in soli tre mesi. Ci vorrà probabilmente il triplo di questo tempo, sempre che non succedano degli spiacevoli imprevisti”.
Più ottimista il professor Carlo Bonini che è anche consulente del ministero degli Esteri. All'Ansa assicura: "Il sistema è del tutto innovativo perché non mai stato usato in mare. Ma sappiamo che la nave ha fatto un serie di prove per poterlo utilizzare a bordo, e che è dotata di equipaggi addestrati a questa situazione. Alla fine del processo di distruzione nel Mediterraneo, che durerà 3 o 4 mesi, tutte le sostanze saranno state trasformate in composti chimici, non più armi chimiche".
Naturalmente permangono alcune aree di rischio in tutta l'operazione: "Teoricamente non c'è nessun rischio, se non c'è fuoriuscita di liquido. Si dovrà certamente tener conto delle condizioni meteorologiche del mare".
A questo punto viene spontaneo chiedersi perché il Ministero della Difesa USA abbia deciso di smaltire le armi chimiche siriane proprio nel Mediterraneo, anzi a metà strada fra Italia e Creta e non, per esempio, in aree remote dell'Atlantico o del Pacifico. Dubbi permangono inoltre sul perché le autorità italiane e greche abbiano fatto tali concessioni alla nave militare Cape Ray.
Francesco Colafemmina
(2 luglio 2014)
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