Tar Lazio
Vittoria per l'arrampicatore della Cupola di San Pietro
Protestava aggrappato alla Cupola della basilica, raggiunto da un ordine di rimpatrio ha avuto ragione dal TAR Lazio.
Roma, Piazza San Pietro, 2 ottobre dell’anno del Signore 2012.
Eludendo la vigilanza della Gendarmeria vaticana un cittadino italiano si arrampica sulla cupola della basilica di San Pietro, esibendo dalla balconata esterna uno striscione (del seguente tenore: "Help!! Basta Monti basta Europa basta Multinazionali ci state ammazzando tutti, sviluppo? Questa è solo macelleria sociale"): dopo essersi calato dal tetto del lucernaio della stessa cupola, il tizio restava aggrappato alla medesima dalle ore 17,30 del 2 ottobre 2012 alle ore 21 del giorno successivo.
Motivo della sua protesta? Il testo della legge in quel momento in discussione in Parlamento che rideterminava l'assegnazione delle aree demaniali marittime in concessione: essendo costui diretto interessato al problema, siccome gestore di stabilimento balneare a Trieste, intendeva platealmente dissentire dai provvedimenti legislativi tesi alla privatizzazione.
Una volta convinto a scendere veniva immediatamente raggiunto da un provvedimento di rimpatrio con foglio di via obbligatorio con divieto di tornare nel Comune di Roma per anni 3, emesso dal Questore di Roma.
L’interessato proponeva ricorso gerarchico che veniva respinto dal Prefetto.
Si apriva quindi la strada del ricorso giurisdizionale che veniva proposto al TAR Lazio.
Il Collegio (Sezione Prima ter), con sentenza n. 8712 del 26 giugno 2015, ha dato ragione “all’arrampicatore”, annullando il decreto.
I giudici laziali hanno osservato che nel gravato decreto il Prefetto ha fatto riferimento all'art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 159/2011, evidentemente ritenendo applicabile la lett. c), che fa riferimento a "coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo la sicurezza e la tranquillità pubblica".
E’ chiaro che quanto scritto nel decreto impugnato non è apparso in linea con la previsione normativa richiamata e, quindi, tale atto è stato ritenuto illegittimo per contrasto con il citato d.lgs. n. 159/2011, che consente di applicare le misure ivi previste nei confronti di soggetti che siano dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo la sicurezza o la tranquillità pubblica: ambito nel quale non rientra il comportamento contestato al ricorrente, il quale non integra condotte penalmente rilevanti ma, costituisce espressione del diritto garantito dall'art. 21 della Costituzione di manifestare liberamente il proprio pensiero.
Secondo il TAR, poi, dai fatti e dalle circostanze dedotte nei rapporti di servizio, è emerso che l’Amministrazione non ha esternato adeguati elementi di valutazione circa il comportamento tenuto dal ricorrente nel caso di specie, utili per ritenere che la sua presenza a Roma potesse concretare una pericolosità attuale e specifica, tale da giustificare l’adozione di un decreto di rimpatrio con foglio di via obbligatorio.
Rodolfo Murra
(27 giugno 2015)
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