Giustizia amministrativa
Niente 'daspo' senza scavalcamento o superamento di una recinzione
La sentenza della Terza Sezione del Consiglio di Stato del 22 maggio 2015.
È giunta all'attenzione del Consiglio di Stato una vicenda particolare, in materia di daspo, che vede come protagonista non il solito tifoso che lancia materiale pericoloso, scavalca e fa invasione di campo, ma il titolare di una ditta aggiudicataria dell’appalto del servizio bar all’interno di uno stadio sanzionato dal Questore per aver consentito a due tifosi di una squadra ospite di entrare dall’ingresso riservato al personale di servizio, in elusione dei controlli, spacciandoli come propri collaboratori.
Il Consiglio di Stato Sezione Terza nella sentenza del 22 maggio 2015 n. 2572 ha ribaltato la sentenza del giudice di prime cure che aveva rigettato il ricorso proposto dal commerciante.
In particolare il Supremo Consesso ha richiamato nella sentenza l’art. 6-bis della legge n. 401/1989, che ha esteso a nuove fattispecie l’applicazione del c.d. “daspo” già previsto dall’art. 6 della medesima legge.
L’art. 6-bis è rubricato «Lancio di materiale pericoloso, scavalcamento e invasione di campo in occasione di manifestazioni sportive» e nel suo testo dispositivo si riferisce al fatto di chi «supera indebitamente una recinzione o separazione dell'impianto ovvero invade il terreno di gioco». Questa disposizione, precisa il Collegio, è stata già interpretata dalla Terza Sezione (sentenza n. 5926/2013) come applicabile solo nell’ipotesi che vi sia scavalcamento o superamento di un ostacolo materiale, e non anche nel caso (come nella fattispecie allora esaminata) di chi pacificamente si sposti da un settore all’altro degli spazi riservati al pubblico, approfittando di un varco occasionalmente lasciato aperto da altri.
Sulla base di tali premesse, il Collegio ha ritenuto che anche in questo caso il fatto esuli dalla previsione della norma.
L’autorità emanante ha operato una duplice forzatura interpretativa. In primo luogo ha assimilato allo “scavalcamento” o “superamento di una recinzione o separazione” il fatto di chi si introduce - in modo palese e pacifico ancorché fraudolento - attraverso l’ingresso riservato al personale di servizio, simulando di averne titolo. In secondo luogo ha ulteriormente esteso la sanzione al fatto di chi (come l’attuale appellante) essendo legittimamente all’interno dello stadio, si presta ad avallare l’inganno altrui. Ma la formulazione complessiva degli artt. 6 e 6-bis (nel testo attualmente vigente) rivela l’intenzione del legislatore di elencare una serie di fattispecie tipiche, dettagliatamente individuate, e ciò sembra escludere la possibilità di estensioni interpretative o analogiche; quanto meno quando il fatto non abbia prodotto disordini, turbative, etc.
Ha concluso, quindi, il Supremo Consesso rilevando come non sia compito del Collegio stabilire quali illeciti siano stati commessi e come debbano essere sanzionati, ma decidere solamente se il fatto rientri nella previsione dell’art. 6-bis ai fini dell’applicazione del “daspo” e la risposta deve essere negativa con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.
Enrico Michetti
La Direzione
(24 maggio 2015)
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