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Procedimenti di secondo livello

Annullamento in autotutela di atti pianificatori: occorre o no la comunicazione di avvio del procedimento?

Interessante decisione del Consiglio di Stato su un tema dibattuto.

Nel 2005, a soli sei mesi dall'avvenuta approvazione, la Regione Lazio ha annullato in autotutela il Piano di localizzazione di impianti per l'esercizio delle attività produttive di beni e servizi di un Comune del territorio. Insorgeva contro tale decisione una società proprietaria di un'area collocata nel perimetro del Piano medesimo, lamentando in primo luogo la mancata comunicazione di avvio del procedimento di secondo livello, ai sensi dell'art. 7 L. 7 agosto 1990 n. 241. Il TAR del Lazio rigettava il ricorso e la società appellava la sentenza.

Il Collegio di secondo grado, IV Sez., con sentenza n. 1959 del 28 marzo 2018, ha ritenuto di condividere quanto sul punto argomentato dal Tribunale nel senso che gli atti pianificatori, come quello in questione, sono estranei all’ambito applicativo della invocata legge sul procedimento a mente dell’art. 13 del medesimo compendio normativo, laddove (precisamente al comma 1) statuisce che “Le disposizioni contenute nel presente capo non si applicano nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione”.

Secondo il Collegio di secondo grado è noto che detta esclusione si deve al fatto che gli atti pianificatori sono interessati da diversi moduli partecipativi, con conseguente pari soddisfazione di quell’esigenza dialogica che l’avviso di avvio procedimentale sottende; ma l’esclusione dall’alveo applicativo della norma si deve anche al fatto che i predetti atti, per il loro contenuto generale, investono gli interessi di una pluralità di soggetti nemmeno esattamente individuabili in modo da rendere non praticabile una misura partecipativa ad personam.

Tuttavia i giudici di appello si sono fatti carico di verificare, come sollecitati nel gravame, se tali conclusioni possano essere valide anche quando si tratti, come nel caso di specie, di un atto di ritiro che, avendo natura di secondo grado, richiede la previa partecipazione procedimentale. Sul punto, la società appellante ha argomentato le proprie deduzioni, rilevando, da un lato, che il citato art. 13 si riferisce unicamente all’emanazione degli atti generali, nel novero dei quali non è quindi ricompreso anche il loro ritiro, e, dall’altro, che l’atto in questione ha una funzione localizzatrice dell’opera in progetto in modo da incidere nella sfera giuridica di soggetti determinati, aventi interesse ad instaurare un preventivo contraddittorio con l’Amministrazione.

Secondo il Consiglio di Stato, invece, non si palesa la necessità di attivare la previa misura partecipativa, in quanto l’atto di secondo grado è frutto della riedizione del potere esercitato in prima battuta ed è pertanto attratto alla relativa disciplina.

Per giungere a tale conclusione i magistrati amministrativi di appello hanno rammentato succintamente il dibattito che si è sviluppato in dottrina circa la qualificazione del potere di autotutela: se, cioè, sia coincidente con la potestà originariamente attribuita all’Amministrazione o piuttosto si atteggi quale potere autonomo da questa. La prima linea esegetica ha tratto conferma dalle modifiche apportate (dalla L. n. 80 del 2005) alla L. n. 241 del 1990 atteso che, nell’art. 19, 3° comma, relativo alla dichiarazione di inizio attività, è stata inserita la previsione secondo la quale “è fatto comunque salvo il potere dell’Amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies”, e, nell’art. 20, 3° comma, relativo al silenzio-assenso, è stata inserita la previsione secondo cui “nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l’Amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies”. L’opinione ha trovato ulteriore conferma nel dato normativo conseguente all’introduzione dell’art. 21 septies, che per la prima volta ha sottoposto il potere di autotutela ad una disciplina ad hoc, potendosi ritenere tale intervento del legislatore implicito riconoscimento della non riconducibilità del potere di riesame a quello di amministrazione attiva.

Il Consiglio di Stato, tuttavia, in sintonia con un cospicuo orientamento dottrinale, ha mostrato di prediligere la contrapposta opzione interpretativa, avendo rilevato che “il potere di provvedere in via esclusiva su determinati affari comprende necessariamente e coerentemente anche quello dell’adozione del “contrarius actus” (e cioè l’annullamento, la revoca, la riforma o la modifica) [...] come misura di salvaguardia della riserva di competenza. Infatti, qualora codesto potere fosse esercitato da organo diverso sarebbe quest’ultimo e non l’organo di competenza primaria ad avere l’effettiva disponibilità della materia, venendosi a creare nel tempo stesso una concorrenza di poteri che sarebbe foriera soltanto di disordine amministrativo” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 1997, n. 424). Come noto, del resto, lo stesso Supremo Consesso, pronunciandosi in ordine alla natura giuridica della d.i.a. ed alla relativa tutela del terzo, ha inoltre ridimensionato la portata ricostruttiva delle norme sopra citate, in quanto “evocando l'autotutela (e, in particolare, l'annullamento d'ufficio), il legislatore, più che prendere posizione sulla natura giuridica dell'istituto, ha voluto solo chiarire che, anche dopo la scadenza del termine perentorio di trenta giorni per l'esercizio del potere inibitorio, la P.A. conserva un potere residuale di autotutela, da intendere, però, come potere sui generis, che si differenzia della consueta autotutela decisoria proprio perché non implica un'attività di secondo grado insistente su un procedente provvedimento amministrativo” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 2 febbraio 2009, n. 717). Tale posizione, del resto, può dirsi poi implicitamente recepita dalla nota pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 29 luglio 2013, n. 17, resa a proposito della natura giuridica del potere di revoca dei contributi, essendosi opinato nel senso che l’atto di autotutela ripete la stessa natura (discrezionale o vincolata) dell’atto ritirato. L’atto di autotutela non è, allora, espressivo di un potere distinto ed autonomo rispetto a quello esercitato attraverso l’adozione dell’atto oggetto di ritiro ma è piuttosto frutto di quest’ultimo, in quanto comprensivo della facoltà dell’Amministrazione di rivedere il proprio operato al fine di verificarne la corrispondenza al regime legale e all’interesse pubblico.

Ciò posto, il Collegio ha concluso nel senso che non vi erano ostacoli affinché le suesposte considerazioni ricostruttive potessero essere riferite anche al caso di specie, non potendosi condividere i timori di incostituzionalità, pure paventati dalla società appellante, ove si acceda ad una lettura riduttiva del perimetro applicativo del principio di partecipazione procedimentale, già per il fatto che la medesimezza del potere esercitato conduce inevitabilmente a ritenere la norma derogatoria di cui al citato art. 13 comprensiva (oltre che dell’emanazione) anche della rimozione degli atti contemplati dalla stessa.

 

Rodolfo Murra

(3 aprile 2018)

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