TAR ABRUZZO
Il prolungamento delle concessioni demaniali marittime in caso di investimenti
La proroga è giustificata (ancora per un pò) solo allorquando sia finalizzata a tutelare la buona fede del concessionario.
Una società titolare di uno stabilimento balneare ubicato nel territorio di un Comune dell’Abruzzo di Giulianova, a fine 2015 presentava domanda di prolungamento della concessione demaniale ai sensi dell’art. 3, comma 4 bis, D.L. n. 400 del 1993 (convertito dalla L. n. 494 del 1993), in quanto la realizzazione delle opere assentite dal medesimo Comune aveva comportato investimenti per complessivi 500.000 Euro, per ammortizzare i quali sarebbe stato indispensabile prolungare la durata della concessione in essere.
Il Comune chiedeva dunque all’Agenzia del Demanio parere in merito all’istanza presentata dalla concessionaria il quale riteneva inammissibile la richiesta di prolungamento (per contrasto con i principi comunitari); l’Ente locale, così, denegava il proprio assenso facendo scaturire la reazione dell’istante, che proponeva ricorso al TAR.
Il TAR abruzzese, sezione I della sede de L’Aquila, con sentenza 2 luglio 2018 n. 271, ha accolto il ricorso, ma esclusivamente per motivi cronologico-temporali.
E’ stato dapprima ricordato il quadro normativo di riferimento.
Va rammentato che con il comma 18 dell’art. 1 del D.L. 30 dicembre 2009 n. 194, convertito dalla L. 26 febbraio 2010 n. 25, veniva soppresso il c.d. “diritto di insistenza” previsto dall’art. 37 Cod. nav.
Infatti, ritenendo che le disposizioni della cd. Direttiva servizi non fossero compatibili con il c.d. diritto di insistenza di cui all’art. 37, comma 2, Cod nav., la Commissione C.E. apriva, ai sensi dell’art. 258 TFUE, la procedura di infrazione comunitaria n. 2008/4908. Secondo la Commissione, la normativa nazionale, nel prevedere il diritto di insistenza a favore del concessionario uscente nelle procedure di affidamento di concessioni demaniali marittime, era contraria agli obblighi scaturenti dall’art. 43 del Trattato di Roma (ora art. 49 TFUE1) in materia di libertà di stabilimento.
Nel 2009 la Direzione generale del mercato interno e dei servizi della Commissione Europea contestava che il c.d. diritto di insistenza previsto dall’art. 37 Cod. nav. fosse contrario, oltre che all’art. 43 TUE, anche all’art. 12 della Direttiva Bolkestein. L’art. 37 Cod. nav. non avrebbe garantito una procedura di selezione imparziale e trasparente, difettando di adeguata pubblicità sul suo avvio, svolgimento e completamento. Così pure, a giudizio della Commissione, il rinnovo automatico delle concessioni in scadenza, previsto dall’art. 1, comma 2, D.L. n. 400 del 1993, sarebbe stato contrario al § 2 del medesimo art. 12 Dir. 123/2006/CE. L’ordinamento interno italiano accordava agli operatori economici già stabilitisi in Italia privilegi tali da dissuadere o da impedire l’accesso al mercato rilevante di nuovi operatori economici.
Da qui, in conclusione, la violazione dell’art. 49 TFUE, il quale vieta non soltanto le discriminazioni palesi in base alla cittadinanza, o alla sede per quanto riguarda le società, ma anche qualsiasi discriminazione dissimulata che, pur fondandosi su altri criteri di distinzione, produca lo stesso effetto.
Nell’abolire il c.d. diritto di insistenza, il D.L. n. 194 del 2009 s.m.i. aveva tuttavia garantito un’ultima proroga sino al 31 dicembre 2015 delle concessioni demaniali marittime rilasciate anteriormente al 31 dicembre 2009; tale termine veniva poi prorogato al 31 dicembre 2020 ex art. 34 duodecies D.L. n. 179 del 2012 (convertito dalla L. n. 221 del 2012).
Nel convertire in legge il citato D.L. n. 194 del 2009, la L. 26 febbraio 2010 n. 25 recava due espresse clausole di salvezza: la prima era quella che faceva salva regola del rinnovo automatico delle concessioni demaniali marittime turistico-ricreative, introdotta dall’art. 10 legge n. 88/2001 (c.d. “Legge Baldini”); la seconda era quella che faceva salvo il rilascio di concessioni pluriennali in considerazione degli investimenti ex comma 4 bis dell’art. 3 D.L. n. 300 del 1993.
Dopo una serie di vicissitudini normative, la Commissione archiviava la procedura di infrazione contro la Repubblica Italiana, dopo che lo Stato aveva sì provveduto ad emendare l’art. 1, comma 18, del D.L. n. 194 del 2009 delle previsioni in contrasto con il diritto comunitario, tra le quali non era tuttavia ricompresa l’espressa clausola di salvezza della previsione dell’art. 3, comma 4 bis, del D.L. n. 400 del 1993 e che, conseguentemente non risulta abrogata.
Infine, con la sentenza del 14 luglio 2016 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha dichiarato che le disposizioni nazionali che consentono la proroga generalizzata ed automatica delle concessioni demaniali fino al 31 dicembre 2020 contrastano con l’ordinamento comunitario (si tratta dell’art. 1, comma 18, del D.L. 30 dicembre 2009 n. 194, nella versione risultante dalle modifiche apportate dall’art. 34 duodecies del D.L. 18 ottobre 2012 n. 179, articolo introdotto in sede di conversione con L. 17 dicembre 2012 n. 221).
La Corte, in particolare, ha tenuto a precisare che una proroga ad una concessione demaniale è giustificata solo allorquando sia finalizzata a tutelare la buona fede del concessionario, ossia quando lo stesso abbia ottenuto una determinata concessione in un’epoca in cui “non era ancora stato dichiarato che i contratti aventi un interesse transfrontaliero certo avrebbero potuto essere soggetti a obblighi di trasparenza”.
La tutela della buona fede del concessionario, dunque, va relazionata alla data di adozione della Direttiva 2006/123/CE – c.d. Bolkestein. In caso di concessione rilasciata in data antecedente, secondo la Corte, la cessazione anticipata della concessione “deve essere preceduta da un periodo transitorio che permetta alle parti del contratto di sciogliere i rispettivi rapporti contrattuali a condizioni accettabili, in particolare, dal punto di vista economico”; viceversa, la previsione di un periodo transitorio non sarebbe possibile laddove la concessione sia stata rilasciata dopo la Direttiva Bolkestein.
Tornando allora al caso sottoposto ai giudici abruzzesi, è apparso rilevante il fatto che sia la concessione sia gli investimenti effettuati dalla titolare dello stabilimento balneare erano stati compiuti prima che:
– la Commissione notificasse, il 2 febbraio 2009, la lettera di costituzione in mora di cui alla procedura di infrazione comunitaria;
– fosse scaduto il termine di recepimento della Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno n. 06/123/CE del 12 dicembre 2006 (e cioè il 28 dicembre 2009, v. art. 44 della Direttiva Servizi);
– la Repubblica Italiana attuasse tale Direttiva con il D.L.vo 26 marzo 2010 n. 59.
Considerata, dunque, la compatibilità del comma 4 bis dell’art. 3 D.L. n. 400 del 1993 con l’ordinamento comunitario, è stato ritenuto sussistente il lamentato vizio di eccesso di potere sotto il profilo della carenza di istruttoria, nonché il difetto di motivazione dei provvedimenti impugnati con i quali è stata affermata l’impossibilità di proroghe di concessioni demaniali oltre il termine del 31 dicembre 2020.
Rodolfo Murra
(9 luglio 2018)
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