Giustizia amministrativa
Interdittiva antimafia, non basta la sola parentela con personaggi legati a clan camorristici
Nessun rapporto di automatismo tra un legame familiare, sia pure tra stretti congiunti, ed il condizionamento dell'impresa nei principi sanciti dalla Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza n. 3310 del 3 luglio 2015.
Siamo a Casal dei Principi (CE) ed un allevatore si vede recapitare una richiesta del Commissario straordinario per l’emergenza brucellosi di restituzione di somme già liquidate a titolo di indennizzi relativi agli abbattimenti di capi bufalini infetti nonchè il diniego dell’erogazione degli ulteriori indennizzi e ciò sulla base dell'informativa della Prefettura di Caserta di accertamento delle cause interdittive di cui all’art. 4 del d.lgs. 8 agosto 1994, n. 490.
L'elemento che ha fatto scattare il provvedimento - confermato in primo grado dal TAR - è la convivenza dell'allevatore con la sorella sposata con un personaggio che "annovera numerosissimi controlli di polizia con personaggi affiliati al clan camorristico dei casalesi”. Di qui l’emersione del pericolo di infiltrazione mafiosa con valenza condizionante delle scelte e degli indirizzi della ditta del ricorrente.
La Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 3.7.2015 n. 3310 ha accolto il ricorso proposto dall'allenatore ritenendo insufficiente il quadro istruttorio posto a sostegno della misura di rigore in quanto il provvedimento del Prefetto "anche se espressione di un’ ampia sfera di discrezionalità quanto all’elevazione della soglia di prevenzione dei fenomeni di condizionamento criminale di attività economiche finanziate con risorse economiche dello Stato o di altri organismi pubblici – deve, in ogni caso, delineare un sufficiente quadro che renda significativo, anche se su un piano i solo indiziario, il pericolo di condizionamento e di infiltrazione mafiosa".
Relativamente alla convivenza, il Collegio ha ritenuto significativa la circostanza che l'allevatore ha documentato la sua limitata durata temporale (circa tre mesi) e la cessazione della convivenza stessa in data antecedente a quella di adozione della misura interiettiva, venendo quindi meno la comunanza di vita quale condizione agevolativa del condizionamento mafioso, evidenziando al contempo come la stessa relazione dei Carabinieri non attribuiva al periodo di convivenza valore significativo.
Con riguardo alla rilevanza del rapporto di parentela (nella specie di affinità) con soggetti che si affermano appartenenti o in rapporto di contiguità con la criminalità organizzata, agli effetti dell’inibitoria della costituzione di rapporti contrattuali e di sovvenzioni da parte di enti che utilizzano risorse pubbliche, il Consiglio di Stato ha ribadito la prevalente giurisprudenza a tenore della quale il mero rapporto di parentela, in assenza di ulteriori elementi, non è di per sé idoneo a dare conto del tentativo di infiltrazione.
Non può, infatti, configurarsi un rapporto di automatismo tra un legame familiare, sia pure tra stretti congiunti, ed il condizionamento dell'impresa, che deponga nel senso di un'attività sintomaticamente connessa a logiche e ad interessi malavitosi.
Conclude il Consiglio di Stato che l'attendibilità dell'interferenza dipende anche da una serie di circostanze ed ulteriori elementi indiziari che qualifichino, su un piano di attualità ed effettività, una immanente situazione di condizionamento e di contiguità con interessi malavitosi.
Per maggiori informazioni scarica gratuitamente la sentenza
Enrico Michetti
La Direzione
(6 luglio 2015)
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