Attività imprenditoriali
Antimafia: misure di prevenzione ancora sub iudice, non scatta il concetto di definitività
Il Consiglio di Stato si pronuncia su una interdittiva che aveva permesso ad un Comune di dichiarare inefficace una S.c.i.a. per l'apertura di una sala giochi.
Una società ha impugnato avanti al T.A.R. Campania il provvedimento adottato da un Comune con il quale è stata dichiarata l’invalidità della s.c.i.a. per l’apertura di una sala giochi all’interno di un’area di servizio, sulla base di una comunicazione antimafia, per l’esistenza di due misure di prevenzione disposte dal locale Tribunale a carico di colui che al tempo era l’amministratore della società.
Avverso tali provvedimenti nonché contro gli atti depositati dal Ministero dell’Interno in primo grado, impugnati con ulteriori motivi aggiunti, i ricorrenti hanno dedotto le censure di difetto di motivazione, di mancata comunicazione dell’avvio del procedimento e la violazione dell’art. 67 del D.L.vo n. 59/2011.
Il T.A.R. campano ha respinto il ricorso, offrendo alla società soccombente il destro per appellare.
Con un unico articolato motivo la società ha lamentato la violazione dell’art. 67, comma 1, del D.L.vo n. 159/2011, assumendo che la pendenza, avanti alla Corte d’Appello di Napoli (in sede di rinvio disposto dalla Corte di cassazione), del giudizio impugnatorio relativo alla misura di prevenzione renda quest’ultima non definitiva, con la conseguenza che sarebbe illegittima, nel caso di specie, l’adozione di una comunicazione interdittiva antimafia motivata dalla sussistenza dei presupposti di cui al citato art. 67 e, cioè, dalla ritenuta esistenza di una delle cause di divieto, di sospensione e di decadenza da esso tassativamente previste.
Il T.A.R. campano, nella sentenza impugnata, ha ritenuto al contrario che tale tesi non fosse condivisibile, sia perché il concetto di definitività non coincide con quello di irrevocabilità, nel nostro ordinamento, sia perché lo stesso art. 67, comma 3, del citato D.L.vo n. 159/2011 ammette, in casi particolarmente gravi, di disporre in via provvisoria l’interdizione da specifiche attività anche in pendenza del procedimento finalizzato all’applicazione della misura di prevenzione.
La Terza sezione del Consiglio di Stato ha ritenuto non condivisibili entrambi gli argomenti e, con sentenza n. 1324 dell’1 aprile 2016, ha accolto l’appello e ribaltato la pronuncia del TAR, annullando l’atto negativo comunale.
Se è vero che il concetto di definitività non sempre coincide con quello di irrevocabilità del provvedimento – poiché la legge spesso utilizza il concetto di provvedimento o di sentenza definitiva per riferirsi all’ipotesi in cui, in un determinato grado del processo, il giudice si pronunci sull’intero thema decidendum portato alla sua cognizione, spogliandosi interamente della potestas decidendi su di esso (in contrapposizione alla sentenza non definitiva, con la quale quello stesso giudice definisce, invece, solo un punto della controversia riservando al prosieguo del giudizio e alla sentenza definitiva, all’esito di questo, la risoluzione delle questioni rimaste ancora pendenti) – tuttavia nel sistema del D.L.vo n. 159/2011 il Consiglio di Stato ha ritenuto evidente che il legislatore abbia voluto adoperare il concetto di definitività in riferimento ai provvedimenti non impugnati o non più impugnabili, che hanno acquisito, quindi, la stabilità connessa o, comunque, equivalente al giudicato.
Tanto si evince non solo dallo stesso art. 67, comma 3, che consente eccezionalmente al Tribunale – e al solo Tribunale e non già, pertanto, all’autorità amministrativa – di disporre in via provvisoria, se sussistono motivi di particolare gravità, i divieti di cui ai commi 1 e 2 dello stesso art. 67 e sospendere l’efficacia delle iscrizioni, delle erogazioni e degli altri provvedimenti e atti di cui ai medesimi commi, ma anche dalla disposizione del comma 8 dello stesso art. 67, a mente del quale «le disposizioni dei commi 1, 2 e 4 si applicano anche nei confronti delle persone condannate con sentenza definitiva o, ancorché non definitiva, confermata in grado di appello, per uno dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale», ove è evidente e inequivocabile la volontà legislativa di annettere al concetto di definitività il senso di non impugnabilità.
Ne consegue che, ferma la illegittimità, per violazione dell’art. 67, comma 1, di una comunicazione antimafia emessa dal Prefetto in seguito ad una misura di prevenzione non definitiva nel senso chiarito dalla decisione di appello e dei consequenziali provvedimenti adottati dalle Amministrazioni, l’autorità amministrativa (e, quindi, il Comune interessato) dovrà, in attuazione dell’art. 67, comma 6, del D.L.vo n. 159/2011, sospendere il procedimento relativo alla segnalazione di inizio attività per l’apertura della sala giochi fino a quando il giudice della prevenzione – nel caso di specie la Corte d’Appello di Napoli – non provveda e, comunque, per un periodo non superiore a venti giorni dalla data in cui l’Amministrazione stessa, conformandosi alla disposizione del citato art. 67, comma 6, non abbia proceduto alla comunicazione dell’esistenza del procedimento nei confronti della Corte d’Appello di Napoli, Misure di Prevenzione, avanti alla quale pende il procedimento di prevenzione.
Rodolfo Murra
(5 aprile 2016)
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