CORTE DI CASSAZIONE
Rissa tra tifoserie opposte: si configura il reato se non si evita lo scontro
La Suprema Corte analizza un caso di presunta aggressione di una fazione di tifosi ai danni di un'altra.
In occasione di un incontro di calcio della massima serie, nel settembre del 2009, le due tifoserie avverse, prima dell’inizio della disputa, venivano a contatto e si scatenava una zuffa. Uno dei partecipanti veniva imputato del reato di rissa e condannato sia in primo che in secondo grado.
In sede di ricorso per cassazione il condannato il ricorrente sollevava questioni di rito ma si doleva soprattutto del giudizio di merito, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza del delitto di rissa, posto che la stessa sentenza impugnata aveva asserito trattarsi di un'aggressione dei tifosi di una fazione ai danni di quelli dell’altra.
Con sentenza n. 12801 del 22 marzo 2019 la Suprema Corte (V Sezione penale) ha rigettato il ricorso.
Invero, il motivo con cui il ricorrente ha avversato la decisione quanto alla ritenuta sussistenza del delitto di rissa è stato ritenuto aspecifico perché ha del tutto ignorato la ricostruzione emersa dalla sentenza impugnata, secondo cui i tifosi della squadra ospite (ai quali apparteneva il ricorrente stesso) sia pure bersaglio di lancio di sassi da parte di quelli della squadra ospitante (che si erano appostati ed avevano preso a colpire l'autobus che trasportava i primi ed addirittura le auto della Polizia che lo scortavano), non avevano tenuto un atteggiamento meramente difensivo, per esempio attendendo un intervento risolutivo da parte delle forze dell'ordine presenti, ma erano scesi dall'autobus, anche variamente armati, ed avevano iniziato uno scontro corpo a corpo.
E' evidente che lo schema comportamentale ricostruito dalla sentenza impugnata non vede una parte — i tifosi della squadra di casa — aggredire e l'altra — quelli della compagine ospite — difendersi, ma uno scontro vicendevole, divenuto aggressione bilaterale nel momento in cui la tifoseria cui apparteneva il ricorrente, senza alcuna necessità di farlo e potendo evitare di esporsi direttamente a pericolo scendendo dall'autobus, ha intrapreso un'azione eteroaggressiva indotta, ma non necessitata, da quella della controparte e, quindi, priva della matrice difensiva di cui dice il ricorrente.
Di fronte a queste razionali argomentazioni, il ricorso porta avanti una propria versione alternativa e soggettivamente orientata che omette di contrastare i passaggi argomentativi della Corte di merito, seguendo, così, un'impostazione in spregio agli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità che ha di recente ribadito un concetto già accreditato nella giurisprudenza della Suprema Corte: secondo cui i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando risultino intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato.
Non solo: secondo i magistrati di Piazza Cavour il ricorso non si è confrontato con la motivazione della decisione avversata che, in termini del tutto logici, ha chiarito che l'imputato si trovava tra i tifosi ospiti sbarcati dall'aereo e poi caricati sull'autobus il che, considerato che tutti gli occupanti del mezzo parteciparono alla rissa (avvenuta alla presenza delle forze dell'ordine, che scortavano l'autobus), costituisce motivazione effettiva e razionalmente strutturata per giungere a ricondurre anche al ricorrente la responsabilità dell'occorso.
Rodolfo Murra
(26 marzo 2019)
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