CORTE DI CASSAZIONE
Segretari comunali: il calcolo dell'indennità di fine servizio
Per i Segretari assunti prima del gennaio 1996 non si computano le voci stabilite dalla contrattazione collettiva.
Il Tribunale accoglieva il ricorso mentre la Corte d'appello, in riforma di tale decisione, respingeva l'azionata domanda; riteneva la Corte territoriale che la soluzione della questione non potesse prescindere dalla disciplina dettata dall'art. 11, comma 5, della L. n. 152 del 1968 (prevista per i dipendenti degli Enti locali) per la quale la retribuzione contributiva rispetto alla quale commisurare l'indennità premio di servizio, ai sensi dell’art. 4 della citata L. n. 152 del 1968, è costituita solo dagli emolumenti ivi testualmente considerati, la cui elencazione ha carattere tassativo.
Per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso l’ex Segretario comunale. L’INPS, quale successore ex lege dell'INPDAP, è rimasto contumace.
La Corte, sezione Lavoro, con ord.za n. 7655 del 19 marzo 2019, ha rigettato il ricorso.
Il Collegio ha rilevato che, con riguardo alla base di calcolo dell'indennità premio di servizio, la L. 8 agosto 1995, n. 335, all’art. 2, disciplina diversamente il trattamento di fine servizio a seconda che il dipendente pubblico sia stato assunto dopo il 1° gennaio 1996, ovvero prima di tale data; per i lavoratori assunti prima del 10 gennaio 1996, ed è questo il caso sottoposto al giudice di legittimità, il comma 7 del medesimo art. 2 demanda totalmente alla contrattazione collettiva nazionale, nell'ambito dei singoli comparti, la definizione delle modalità di applicazione della disciplina in materia di trattamento di fine rapporto.
Distinta disciplina è, poi, prevista dal comma 9 dello stesso art. 2 che prevede, dal 10 gennaio 1996, l'inclusione di tutte le voci stipendiali (come previsto dall'art. 12 della L. n. 153/1969), ai fini della retribuzione contributiva e pensionabile, ma non certo ai fini dell'indennità di fine servizio.
Rimane, pertanto, irrilevante il fatto che, dal 1996, la L. n. 335 del 1995, abbia reso omnicomprensiva la base da calcolare ai fini dei contributi e delle pensioni, perché ciò vale solo in questo specifico settore, e tale disciplina, in assenza di una volontà contrattuale, non può incidere sulla regolamentazione del rapporto di lavoro, ai fini dell'indennità di fine servizio, che è rimessa esclusivamente alla autonomia collettiva.
Posto che il T.U. n. 165/2001, all’art. 69, comma 2, ossia la fonte legale che disciplina il pubblico impiego privatizzato, dispone che "in attesa di una nuova regolamentazione contrattuale della materia, resta ferma per i dipendenti di cui all'art. 2, co. 2, la disciplina vigente in materia di trattamento di fine rapporto", da ciò consegue che per i pubblici dipendenti assunti prima del 10 gennaio 1996, il sistema resta quello che vigeva nei singoli settori prima della legge di privatizzazione.
Infatti, il c.c.n.l. dei segretari comunali e provinciali per il quadriennio normativo 1998 - 2001 e per il biennio economico 1998 - 1999 prevede, all'art. 37, che la struttura della retribuzione dei segretari comunali e provinciali si compone di svariate voci, fra cui: "a) trattamento stipendiale; ...g) diritti di segreteria; ...". All'art. 56 è precisato che "la retribuzione annua da prendersi a base per la liquidazione del trattamento di fine rapporto di lavoro del segretario ricomprende le seguenti voci: - trattamento stipendiale di fascia; (...) - diritti di segreteria"; in nessuna disposizione del citato c.c.n.l. è stata allora prevista la computabilità nella indennità di fine servizio delle voci (indennità di posizione, assegno ad personam e incremento indennità di direzione) che il dipendente pretendeva fossero siano incluse nella base di calcolo.
La contrattazione collettiva ha, pertanto, disciplinato la struttura della retribuzione nonché la composizione del trattamento di fine rapporto, non intervenendo sulla struttura del trattamento di fine servizio.
La Corte ha quindi ribadito che, pur dovendosi riconoscere, da un lato, la costante funzione previdenziale di tutte le attribuzioni patrimoniali collegate alla cessazione del servizio e, dall'altro, la sostanza di retribuzione differita, la natura giuridica previdenziale (o assistenziale) è tuttavia determinata dal dato strutturale di un'obbligazione posta a carico ad opera di disposizioni inderogabili di legge, non del datore di lavoro, ma di Enti gestori, appunto, di forme obbligatorie di previdenza e assistenza, che sono finanziati mediante versamento di contributi (a carico dei soggetti del rapporto di lavoro): obbligazione che, di conseguenza, non è inerente al rapporto di lavoro, ma al distinto, rapporto previdenziale di cui il primo rappresenta soltanto il presupposto.
Ne consegue che non assumono rilievo, ai fini della determinazione della suindicata indennità premio di servizio, l'indennità di posizione, l'assegno ad personam e l'incremento indennità di direzione trattandosi di voci retributive non ricomprese tra gli emolumenti specificamente indicati dalla L. n. 152/1968.
Ed infatti la Corte ha sottolineato che tale indennità premio di servizio è commisurata alla retribuzione contributiva e, a norma della citata L. n. 152/1968, è costituita solo dagli emolumenti testualmente menzionati dall'art. 11, comma 5, della legge medesima, la cui elencazione ha carattere tassativo e la cui dizione “stipendio o salario” richiede un'interpretazione restrittiva, alla luce della specifica menzione, come componenti di tale voce, degli aumenti periodici di anzianità, della tredicesima mensilità e del valore degli assegni in natura.
Nello stipendio o nel salario, da valere quale retribuzione contributiva utile al computo dell'indennità premio di servizio vanno, dunque, inclusi soltanto gli aumenti periodici, la tredicesima mensilità e gli assegni in natura, e non anche altri emolumenti seppure aventi carattere indubbiamente retributivo non siano al suddetto fine espressamente menzionati.
Mattia Murra
(2 aprile 2019)
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