Iraq
Il premier iracheno accusa l'Arabia Saudita di "genocidio"
Mentre procede l'avanzata delle truppe dell'ISIS il premier Al-Maliki accusa i sauditi di finanziare e supportare l'esercito jihadista sunnita che sta mettendo a ferro e fuoco l'Iraq.
Sembra di assistere allo stesso copione della Jugoslavia e del Kosovo sia in Ucraina che in Iraq. Mentre negli anni '90 l'opposizione era fra islamici e cristiani, oggi si tentano nuove divisioni e si fomentano guerre civili in nome delle differenze all'interno delle stesse confessioni. Cattolici contro Ortodossi in Ucraina (in questa settimana è stata data alle fiamme una chiesa ortodossa durante gli scontri), Sunniti contro Sciiti in Iraq. Il vecchio establishment del Paese cerca di sfruttare l'avanzata dell'esercito ben armato ed equipaggiato dell'ISIS. E' notizia di ieri, ad esempio, che il giudice che condannò a morte Saddam Hussein sarebbe stato assassinato dagli jihadisti.
Mentre il premier Al-Maliki è anche alle prese con l'assenza di supporto da parte degli USA, cominciano a serpeggiare tensioni che vanno al di là dei confini nazionali. Così Al-Maliki accusa senza mezzi termini i Sauditi di finanziare e supportare l'ISIS: "Riteniamo il regno saudita responsabile del supporto di questi gruppi finanziariamente e moralmente e per il risultato di ciò che include crimini che possono essere qualificati come genocidio: lo spargimento di sangue iracheno, la distruzione delle istituzioni statali irachene e di siti storici e religiosi."
Naturalmente l'Arabia Saudita ha smentito le accuse di Al-Maliki. Di certo, però, qualcuno ha armato la mano dell'ISIS, ha dotato l'esercito jihadista di centinaia di mezzi (per lo più pick-up Toyota di ultima generazione), ha fornito supporto strategico e finanziario a questi squadroni della morte. Se poi la smentita saudita viene per bocca del principe Bandar, responsabile dei servizi di sicurezza nazionali, già amico di Bush e della famiglia Bin Laden, i dubbi si moltiplicano.
Specie se si rammenta l'incontro fra il principe Bandar e Vladimir Putin del giugno 2013, quando - secondo le notizie trapelate - il dignitario saudita offrì a Putin il supporto nello sconfiggere i terroristi ceceni in previsione delle olimpiadi di Sochi, in cambio di un disimpegno russo in Siria, nazione nella quale le truppe dell'ISIS si sono formate e sono state addestrate ed armate da tutti i nemici del regime di Assad.
Insomma, la dinamica irachena sembra riconnettersi al grande gioco globale per il controllo delle risorse energetiche e delle vie di passaggio di petrolio e gas. Il cui scopo è evitare che vi siano regimi stabili e governi forti. Ogni divisione diventa così un utile strumento di controllo. E intanto Bloomberg annuncia che gli Hedge funds cominciano a trarre corposi guadagni dalla speculazione sul rialzo dei prezzi del petrolio.
A pagarne le conseguenze non solo la popolazione civile irachene, ma anche il resto del mondo che dipende da un distributore di benzina e da prezzi dei carburanti capaci solo di salire e mai di scendere, indipendentemente dalle turbolenze del medio oriente.
Francesco Colafemmina
(23 giugno 2014)
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