Caos in Iraq
L'armata di Al Qaeda marcia verso Baghdad
Sulla via del fallimento la teoria Bush dell'esportazione di democrazia. Obama stretto tra la necessità di evitare la debacle e l'impegno a non inviare altre truppe in Iraq.
A 11 anni dallo scoppio della seconda guerra del Golfo e dopo un costo coplessivo delle operazioni statunitensi pari a 6 Trilioni di $, secondo le stime pubblicate nel 2013 dal Watson Institute, ecco che l'Iraq ripiomba nell'incubo totalitario. Questa volta la democrazia esportata dagli States non è messa a rischio da un generale dell'esercito o da un leader carismatico, bensì da un folto gruppo di guerriglieri jiadhisti che, finanziati e addestrati dall'Occidente per abbattere la leadership di Assad, sono passati dalla Siria all'Iraq, lasciando dietro di sé una scia di sangue e violenze. Grazie agli armamenti fornitigli dal governo USA in Siria (missili anti-carro, fucili d'assalto, etc.) all'addestramento e al loro "fervore religioso" sembrano una macchina da guerra inarrestabile.
Martedì hanno conquistato la seconda città del Paese, Mosul, causando l'esodo di circa 500.000 abitanti che si sono ammassati con le loro auto alle porte della città. Mercoledì sono passati alla città natale di Saddam Hussein, Tikrit. E adesso starebbero marciando verso Baghdad.
Si fanno chiamare armate dello Stato islamico dell'Iraq e del levante (ISIS), non hanno pietà dei civili, e grazie alla ritirata immediata delle forze irachene - addestrate dagli USA per un costo complessivo di 20 miliardi di dollari - si sono impossessati di mezzi militari e persino elicotteri lasciati sul campo dall'esercito governativo. Sono sunniti e quindi vicini al vecchio establishment dell'epoca di Saddam e particolarmente invisi al vicino Iran. Tanto che il governo iracheno, guidato da Nouri al-Maliki, si starebbe avvalendo dell'ausilio delle guardie rivoluzionarie iraniane, corpi militari scelti che, superando una conflittualità antica, avrebbero deciso di correre in soccorso dei fratelli sciiti, in particolare per difendere Baghdad.
La notizia è stata confermata dal Wall Street Journal. Intanto Obama annuncia che "non è escluso un intervento militare" degli USA, anche se, precisa, non avverrà attraverso l'invio di forze sul campo, bensì grazie all'uso dei droni. Gli esiti di una guerra telecomandata restano però molto incerti. E mentre assieme ai droni viene deciso l'invio di 36 F-16, missili Hellfire, fucili d'assalto e munizioni in quantità, il definitivo fallimento della politica di esportazione della democrazia statunitense, armata (dottrina Bush) o più o meno disarmata (dottrina Obama delle "primavere arabe") è alle porte.
Anche perché i gruppi islamisti dell'ISIS hanno fatto una scelta strategica. Il loro obiettivo non è tanto il controllo diretto del Paese, quanto quello delle sue risorse energetiche. L'ha compreso anche la minoranza curda del nord dell'Iraq che, attraverso truppe irregolari ha preso ieri il controllo di Kirkuk, la capitale del petrolio iracheno. Il controllo dei pozzi di Mosul e Kirkuk potrà assicurare l'imminente capitolazione delle forze democratiche della Nazione e sancire il definitivo "game-over" per gli USA.
Francesco Colafemmina
(13 giugno 2014)
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